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    Lavoro e flussi di valore. 20 anni da Il lungo XX secolo di Giovanni Arrighi

    10/11/2014 | 10:00 - 23:59

    Nel 1994 usciva la prima edizione in lingua inglese de Il lungo XX secolo, forse l’opera più conosciuta e importante di Giovanni Arrighi. Intellettuale militante, lasciò l’Italia alla fine degli anni Settanta, andando a raggiungere Immanuel Wallerstein negli Stati Uniti dove rimase fino alla recente scomparsa. Qui il suo impegno accademico venne prima assorbito dal Centro Fernand Braudel della University of New York Bighamton, da cui l’attenzione alla prospettiva globale e alle lunghe periodizzazioni nell’analisi del capitalismo, che rimangono i punti cardinali della bussola storiografica disegnata dalla bibliografia arrighiana, poi dalla John Hopkins University di Baltimora.
    Il lungo XX secolo, nonostante l’ampiezza e la lucidità della riflessione, la scorrevolezza del testo (con ogni probabilità favorita dall’originale stesura in inglese) a dispetto della complessità dei temi trattati, ha goduto di una fortuna relativa, non solo nell’ambito accademico.
    A distanza di venti anni, ci sembra dunque importante rimettere al giusto posto questo libro, non tanto dedicandogli un banale omaggio elegiaco, ma rimetterlo al centro della riflessione, riprenderne i contenuti per proporre e diffondere letture critiche. Intendiamo misurare l’interpretazione di Arrighi sulle evoluzioni cicliche del sistema capitalista di accumulazione, produzione e finanziarizzazione con i recentissimi sviluppi dell’economia mondiale, godendo del discutibile privilegio di aver visto nella crisi degli ultimi 8 anni l’erosione di pezzi del sistema di libero mercato.
    In questa proposta di percorso, non possiamo non partire da una valutazione sulla riflessione centrale de Il lungo XX secolo: possiamo giudicare ancora valida l’interpretazione su questo ultimo ciclo di storia del capitalismo, che rilegge la formula marxista D-M-D’ come D-D’, con i tre momenti dell’accumulazione, della traduzione in fattori produttivi “reali” e della messa in circolo nella forma del commercio, contratti ad un processo di creazione autoreferenziale di profitto attraverso la vendita di moneta? La crisi che il regime finanziario mondiale sta attraversando da quasi un decennio, è l’annuncio della “crisi terminale” del “secolo americano” iniziato alla fine dell’800, o stiamo attraversando un’ulteriore “crisi-spia”, come quelle degli anni Settanta e Novanta? Lungi dal segnare il declino del centro dell’economia-mondo, le crisi-spia ne segnano uno spostamento ancora più radicale verso terreni di investimento extraproduttivo o extracommerciale, come è stato negli anni Settanta per la fine della centralità industriale dell’occidente o alla fine del XX secolo con l’avvento dei territori della rete. Eppure, lo spostamento dell’asse economico verso oriente, come per altro parzialmente pronosticato da Arrighi visto l’emergente protagonismo dell’area “cindiana” (o degli Emirati Arabi, alternativamente) a scapito del Giappone, promettente erede della potenza capital-territorialista statunitense all’epoca della prima edizione de Il lungo XX secolo, sembra presagire una prossima cesura nella teoria arrighiana-braudeliana dei lunghi cicli economici. Lo slittamento a Oriente di un nuovo potenziale centro dell’economia-mondo è per altro il tema di quello che può essere considerato il seguito ideale de Il lungo XX secolo. Nel 2007 esce infatti negli Stati Uniti Adam Smith in Beijing, tradotto e stampato in Italia l’anno seguente. Un testo che completa il percorso arrighiano nei cicli sistemici di accumulazione, approdando ai rinnovati scenari di indebitamento e arretramento militare statunitense, condizione ottimale per un, se non certo, plausibile, avvicendamento dell’egemonia mondiale verso un inedito Beijing consensus.
    La nostra contemporaneità per altro sembra fornirci moltissimi stimoli ad approfondire i temi principali de Il lungo XX secolo. La deterritorializzazione delle élite finanziarie, che ha illustri precedenti nelle “nazioni” in esilio o trasmigrate in cerca di solide relazioni d’affari nell’Europa medievale e moderna, impone uno scarto oltre l’analisi di questo o quel modello statuale, non esistendo probabilmente al dispositivo puramente politico capace di incorporare a pieno la natura cosmopolita dell’alta finanza mondiale, a meno di strumentali e pregiudiziali forzature. Stati Uniti, Cina o Germania, nessuna di queste entità territoriali può sensatamente essere considerata da sola centro o server del complesso network di interessi economici che costituisce il potere capitalistico globale. Così come non possiamo fare a meno di abbandonare i pregiudizi euroatlantici e non vedere nella dimensione asiatica una rete di mercati, saperi e classi progressivamente sempre più autonoma dai tradizionali (e probabilmente decadenti) centri dell’organizzazione economica occidentale.
    Il rapporto tra territorio e capitalismo, altro importante aspetto della riflessione di Arrighi, ci impone ulteriori nuovi elementi di analisi. La recente crisi ucraina sembra rimettere in discussione le perifrasi D-T-D’ e T-D-T’ che dovrebbero rappresentare due differenti tendenze della dialettica del potere: quella capitalista e quella territorialista. Se alla luce del processo di integrazione europea e di pacificazione post-guerra fredda, l’opzione T-D-T’, che vedeva nell’espansione territoriale il fine ultimo dell’esercizio egemonico degli stati, appariva del tutto abbandonata, il nuovo corso della politica di Putin sembra riaprire un confronto “tradizionale” con l’Unione Europea e le altre realtà dell’area ex-sovietica, la cui tendenza è la riaffermazione del controllo russo sui vicini attraverso la politica degli eserciti e dei carri armati. Pur non dando per scontata questa interpretazione, certamente semplicistica se vediamo ai tanti attori in gioco, più o meno nascosti nelle pieghe del mercato finanziario ed energetico mondiale, è un dato di fatto che gli osservatori tendano a tradurre quanto sta accadendo alla luce di questa equivalenza. Leggere criticamente Arrighi può aiutarci anche a trovare una nostra chiave interpretativa.
    In questo percorso di studio intendiamo coinvolgere persone che hanno accompagnato il percorso biografico e di ricerca di Arrighi e nelle cui analisi è possibile sentire l’eco dei molti interrogativi posti da Il lungo XX secolo.
    Abbiamo pensato quindi ad un ciclo di seminari, in cui inserire presentazioni di libri o dibattiti utili a stimolare la discussione su questi temi oltre che a ricordare il lavoro di Arrighi. Vorremmo privilegiare autori che propongano approcci genealogici, così da supportare l’analisi dell’oggi (e perché no, azzardare previsioni sul domani) con elementi di comprensione ancorati nel passato storico, e autori che abbiano privilegiato una prospettiva globale.
    Infine crediamo che la questione da cui partire sia un profilo del capitalismo attuale, con una particolare attenzione ai terreni di più intensa valorizzazione, ovvero la logistica e l’organizzazione produttiva, il mercato finanziario e la rete. Sono tutti e tre spazi assolutamente intrecciati e difficilmente analizzabili autonomamente, ma dai quali è possibile partire per una interpretazione dell’ attuale rapporto tra denaro e potere.
    I seminari sono rivolti a studenti, dottorandi e ricercatori, con una particolare attenzione agli iscritti ai dottorati di Storia (politica, società, culture, territorio) e alla scuola dottorale di Studi europei e internazionali del Dipartimento di Scienze Politiche, agli studenti dei Dipartimenti di Giurisprudenza, Scienze della Formazione, Scienze Politiche, Filsofia, comunicazione e spettacolo e Studi Umanistici.

    Dettagli

    Data:
    10/11/2014
    Ora:
    10:00 - 23:59
    Categoria Evento:

    Luogo

    Organizzatore

    prof. Vincenzo Carbone
    Email
    vincenzo.carbone@uniroma3.it