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1869: il Risorgimento alla deriva. Affari e politica nel caso Lobbia

Arianna Arisi Rota
Bologna, il Mulino, 282 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2015

vasti. In questa prospettiva il 1869 va inserito nel ciclo storicamente pieno e positivo della
Destra storica. L’a. rovescia il cannocchiale, e segue i fatti di quell’anno, giorno per giorno. È
la prospettiva dell’«one year book» (potrebbe essere «one month, one semester»). Gli eventi
sono noti, in genere visti ciascuno all’interno della sua storia: così le rivolte contro il macinato
e la dura repressione, o il primo scandalo politico, quello della Regìa dei tabacchi, operazione
finanziaria sospettata di affarismo. Intanto a Roma, non ancora italiana, l’esecuzione
di Targioni e Tognetti scuote le coscienze; a Milano è sventato un progetto di insurrezione
mazziniana; Garibaldi lascia la Camera. Ancora più in là, si inaugura il canale di Suez.
Al centro delle cronache, l’«affare Lobbia». Valoroso combattente garibaldino, deputato,
Cristiano Lobbia dichiara «solennemente» alla Camera di avere documenti che provano
la corruzione nell’affare della Regìa. Dieci giorni dopo subisce un attentato; non si fa un
gran male, e presto si insinua che abbia simulato. Da vittima diventa accusato, i movimenti
democratici ne fanno un eroe della pulizia morale, i loro giornali s’infiammano – al centro
il milanese «Gazzettino Rosa» di Cavallotti –, nelle piazze si grida «W Lobbia W la repubblica
». Avvocati democratici, a cominciare dall’illustre Pasquale Stanislao Mancini, corrono
a difesa. Scrive l’a. che la difficoltà di smobilitare mentalmente la stagione della lotta contro
il nemico esterno rivolge i conflitti all’interno, all’interno del paese (la rivoluzione contro
il neonato governo italiano è una novità) e all’interno delle sinistre, tra gli arrabbiati rivoluzionari
e gli uomini della transizione, tra tutti Crispi. Intanto un giovane testimone del
processo muore avvelenato. L’a. segue nei dettagli la vicenda, in un crescendo che ne fa
una indagine poliziesca, un pasticciaccio brutto, un feuilleton. Per la storia, Lobbia è condannato;
annullata la sentenza in cassazione, è assolto cinque anni dopo. Salva l’onore, ma
scompare dalla scena, ormai logorato e in povertà.
Dunque il succedersi degli événements, se scandagliati con maestria ed esemplare scavo
documentario, mette in campo i grandi temi del periodo (e della storia italiana?): le lotte
fratricide a sinistra, la diffusa delegittimazione delle parti, le accuse di corruzione politica,
l’intervento politico della magistratura, la sensazione di una «marea fangosa che sale, e che
minaccia d’inghiottire tutti…» (così il pur compassato Minghetti, p. 149), di un «pantano
parlamentare dove sprofondano anche gli amici» (e questo è Cairoli, p. 58). In quel caso,
Minghetti e Cairoli guardavano troppo da dentro alle cose. Non seguiamoli, e non facciamo
dell’anacronismo: siamo nel 1869, e la vicenda non ha nulla a che fare con l’Italia di oggi.

 Raffaele Romanelli