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Prefetti in terra rossa. Conflittualità e ordine pubblico a Modena nel periodo del centrismo

Luigi Ambrosi
Soveria Mannelli, Rubbettino, 234 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2012

Le vicende di tre prefetti sono qui affrontate secondo gli auspici della storiografia più avvertita: la storia dei prefetti non può esaurirsi nella ricostruzione della dimensione istituzionale e amministrativa delle loro funzioni, ma deve connettersi alla storia sociale e politica delle province in cui si trovano a operare. Meglio se si concentra su periodi di transizione o di crisi. Così l’a. intreccia queste dimensioni, partendo dalle biografie dei prefetti per coglierne i tratti culturali, e approfondendo la storia della provincia modenese nel dopoguerra. Ne risulta un quadro vivido, fondato su un’analisi rigorosa delle fonti archivistiche e della stampa locale, dal quale emerge il complicato rapporto tra l’autorità periferica dello Stato, gli enti locali e le forze politiche. Al centro dell’attenzione sono le modalità con cui i prefetti interpretano il conflitto sociale, le azioni del Pci locale e come dispiegano le strategie per «contenere» la forza delle opposizioni. Non vi è dubbio che l’Emilia centrale, dove il radicamento del Pci è capillare, rappresenti un osservatorio pri¬vilegiato per studiare la risposta degli apparati statali a una sfida nella quale conflittualità sociale e politica sono strettamente intrecciate; per indagare — come dichiara esplicita¬mente l’a. — il rapporto che si crea tra lo Stato e i cittadini.
Resta un problema non affrontato, come lo stesso a. dichiara: quello Stato giudicato distante e parziale è uno Stato che si rivolge a cittadini che in larga misura aderiscono al Pci, un partito che in Emilia presenta profili peculiari e più persistenti che in altre realtà. Qui il «partito nuovo» fatica a imporsi, rimangono la tentazione della «spallata» e il culto della forza «proletaria» che, anche se non si traducono mai in una linea politica alternativa a quella di Togliatti, contribuiscono a radicalizzare i conflitti e i rapporti con le autorità dello Stato. D’altra parte, il volume documenta quanto lontani dalla pratica democratica fossero i comportamenti dei prefetti in questione. Funzionari entrati nei ruoli del Mini¬stero nel 1914 (due dei tre) e che attraversano il fascismo adattandosi e conformandosi alle richieste del regime. Prefetti per i quali non basta riferirsi solo al fascismo e all’an¬ticomunismo per interpretarne le culture. Occorre riflettere maggiormente sui codici di più lungo periodo che accomunano buona parte delle classi dirigenti italiane quando si occupano dei ceti popolari e del mondo del lavoro: un mondo — come emerge dalla documentazione proposta dall’a. — descritto in modo benevolo quando passivamente si fa guidare dal paternalismo delle «classi responsabili»; irrazionale, eversivo ed «eccitato» quando, per incapacità di giudizio, si consegna nelle mani di «sobillatori» e «agitatori di professione». Un conflitto sociale perciò mai riconosciuto come tale, ma invariabilmente ricondotto ad azione sovversiva (che non mancava) e finisce così per impedire la visuale dei seri problemi della provincia ancora afflitta alla metà degli anni ’50 da una grave mancanza di lavoro.

Lorenzo Bertuccelli