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L’Italia e la guerra d’Algeria (1954-1962)

Bruna Bagnato
Soveria Mannelli, Rubbettino, 800 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2012

Un libro grande ma anche un grande libro. Settecentocinquanta pagine di testo in corpo piccolo e tantissime note in corpo ancora più piccolo, più cinquanta pagine di bi¬bliografia e indice dei nomi. Ma anche un’analisi di insolita e ammirevole ampiezza su un periodo cruciale per tutto il dopoguerra con riferimento alle due dimensioni Est-Ovest e Nord-Sud.
Da un libro in cui c’è moltissimo viene spontaneo aspettarsi che ci sia tutto. Eppure in questo libro qualcosa manca. In linea di principio, i pilastri su cui si regge sono due: la guerra d’Algeria e la politica internazionale dell’Italia. In realtà la guerra d’Algeria non è trattata. Si dà per nota. È la conseguenza di una scelta metodologica di una storica e di una storia che hanno come obiettivo l’Italia e l’Europa più che l’Algeria e il Terzo mondo. L’impostazione, legittima, comporta degli inconvenienti. È difficile apprezzare nel bene o nel male gli equilibrismi della politica italiana sull’Algeria per non scontentare Parigi se non si ha presente il quadro della situazione sul terreno.
Le pagine sono tante perché il libro dà conto nei dettagli di tutti gli incontri bilate¬rali italo-francesi del periodo, anche quando i temi più in vista non riguardano espressa¬mente l’Algeria, di tutti i voti all’Onu, con una gradazione di complicità che va sceman¬do, di tutte le sfumature nell’orientamento dei nostri diplomatici a Parigi e nelle altre sedi principali. Gli ambasciatori, Quaroni detto «il papa» in primis, hanno un notevole peso. Capita persino che il rappresentante all’Onu, forse per il fuso orario, non riceva direttive da Roma e debba decidere da solo come votare. L’azione dell’Italia è una successione di omissioni, elusioni e offerte finte o velleitarie di mediazione. È l’ambasciatore francese Palewski spesso a dettare da Palazzo Farnese al governo italiano come comportarsi. Con il neo-atlantismo si moltiplicano i «giri di valzer» per tener buoni i governi arabi ma il richiamo delle alleanze alla fine è sempre più forte.
Per Italia si intende soprattutto il governo. Largo spazio viene dedicato, è vero, a La Pira e Mattei. La vicenda del Colloquio mediterraneo del 1958 merita giustamente un’attenzione speciale. Ma sia il sindaco di Firenze che il presidente dell’Eni, per quanto eterodossi, si muovono pur sempre in ambito democristiano. Per una descrizione un po’ distesa delle iniziative dell’opposizione di sinistra bisogna arrivare invece a p. 658 e an¬che qui le manifestazioni di solidarietà per gli algerini in lotta vengono passate al vaglio della maggiore o minore irritazione degli ambienti francesi più che come un controcanto dell’ipocrisia ufficiale.
La conclusione di Bagnato è perfetta. Senza spendere molte parole di commento dopo aver fatto parlare i fatti, alla fine si limita a mettere in parallelo lo scritto di un diplomatico che deplora le troppe occasioni perdute per troppo servilismo nei confronti di Parigi e una dichiarazione di Moro rivolta agli arabi che rivendica i meriti dell’Italia. È questa «la forbice interpretativa circa l’atteggiamento dell’Italia verso la guerra d’Algeria» (p. 742).

Gian Paolo Calchi Novati