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A Pacifist Constitution for an Armed Empire. Past and Present of Japanese Security and Defense Policies

Axel Berkofsky
Milano, FrancoAngeli, 315 pp., € 38,00

Anno di pubblicazione: 2012

Il volume analizza l’evoluzione delle politiche di sicurezza del Giappone dal 1945 a oggi. Gli interrogativi ai quali l’a. riconduce la sua disamina sono ben sintetizzati nel titolo: come è possibile spiegare la coesistenza di una Costituzione radicalmente pacifista, quale è quella entrata in vigore nel 1947, con le politiche di difesa e di sicurezza che il Giappone ha adottato dal 1950 in poi? Perché l’articolo 9 (la cosiddetta clausola pacifista) non è stato mai emendato, ma è stato invece ripetutamente teso «come un elastico» (Gotōda Masazumi, citato a p. 207) in modo che potesse soddisfare di volta in volta le nuove esigenze del Giappone?
Il tema, di non facile trattazione, si inserisce nel più ampio dibattito sulla rilevanza dell’antimilitarismo nella politica estera giapponese. Mentre alcuni studiosi (ad esempio, Franco Mazzei, Glenn Hook, Richard Samuels) concordano nel ritenere che l’antimilitarismo sia stato profondamente interiorizzato dal Giappone fino al punto da divenire uno dei tratti caratterizzanti della sua diplomazia negli anni della Guerra fredda, non tutti interpretano l’evoluzione delle politiche di sicurezza nell’era post-bipolare come un segno dell’allontanamento da questa norma.
Il merito principale dell’a. risiede nell’aver ricollocato i termini di questo dibattito all’interno del contesto storico che li ha prodotti. Muovendosi agilmente tra le teorie delle relazioni internazionali e la storia postbellica nipponica, Berkofsky analizza i dilemmi con i quali la politica di sicurezza del Giappone ha dovuto confrontarsi. In particolare, nella prima parte del volume, egli ripercorre criticamente le tappe che hanno scandito la stesura e l’adozione della Costituzione postbellica, soffermandosi sulla genesi dell’articolo 9 e sul dibattito sulla revisione costituzionale. La seconda parte è invece dedicata all’analisi dell’evoluzione delle politiche di sicurezza, esaminata alla luce delle significative trasformazioni che hanno segnato la transizione del Giappone all’era post-bipolare.
Rispetto alla «Costituzione», meno indagato appare il concetto di «impero», che occupa un ruolo non marginale nella visione dell’a., come il titolo del volume lascia intendere. Nella storia del Giappone, la politica espansionistica (e, dunque, l’impero in quanto suo prodotto) ha rappresentato un’opzione eccezionale (oltre che fallimentare), come dimostrano le sue più significative manifestazioni: le invasioni della Corea di Toyotomi Hideyoshi (1592; 1597) e la politica revisionistica messa in atto dal 1931 al 1945. D’altro canto, il Giappone postbellico ha fatto della negazione dell’impero il suo atto fondativo, tornando a perseguire i suoi interessi nazionali in modo pragmatico e compatibile con le «invarianti» geopolitiche che hanno storicamente vincolato le sue opzioni strategiche. L’approfondimento delle implicazioni relative all’uso del termine «impero» potrebbe offrire spunti interessanti per una futura ricerca.

Noemi Lanna