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1946: la guerra in tempo di pace

Victor Sebestyen
Milano, Rizzoli, 494 pp., € 28,00 (ed. or. London, Macmillan, 2014, traduzione di Daniele Didero, Andrea Zucchetti)

Anno di pubblicazione: 2016

«The making of the modern world». Il sottotitolo in lingua originale restituisce una prima argomentazione che informa l’intero libro: il 1946, anno di apertura del secondo dopoguerra, con il progressivo manifestarsi delle tensioni e dei sospetti che avrebbero costituito il terreno di coltura della guerra fredda, si pone alle origini della formazione del nuovo scenario postbellico. Il libro è infatti un viaggio che, ricalcando quelli compiuti dall’a. nel corso della sua lunga attività giornalistica, conduce per mano il lettore attraverso gli snodi principali della progressiva disgregazione della Grande Alleanza: la genesi del mondo contemporaneo richiamata nel titolo.
La libera traduzione adottata in italiano ne fornisce una seconda, altrettanto pregna di significato. «La guerra in tempo di pace» riassume infatti l’intento dell’a. di mostrare, attraverso una serie di approfondimenti tematici su scala globale, la continuità, tanto percepita quanto reale, delle drammatiche condizioni in cui le popolazioni mondiali versavano ben oltre la conclusione delle ostilità.
Il libro si avvale di una trentina di punti di accesso che precipitano il lettore nella realtà complessa e mutevole di quei mesi. Lo fa con grande efficacia descrittiva, restituendo con toni vividi un’immagine nitida delle difficoltà e delle speranze di un anno di passaggio. L’a. unisce, con alterne fortune, la descrizione approfondita della misera quotidianità in cui milioni di europei erano piombati a seguito delle devastazioni della guerra all’analisi delle politiche e delle strategie, a medio e lungo termine, dei grandi policy-makers.
Ne emerge un quadro globale della difficile transizione dalla guerra alla pace. Il tema centrale si perde tuttavia tra le pagine di un volume in cui un racconto episodico è preferito a una riflessione sistematica sulle ragioni di un conflitto in fieri. La mancanza di elementi di raccordo tra i diversi quadri presentati si aggiunge inoltre a un feticcio per il dettaglio minuto, spesse volte non funzionale all’arricchimento del contesto, che costringe il lettore a seguire l’a, in articolate divagazioni sui personaggi di volta in volta introdotti nella narrazione.
Dal punto di vista storiografico, 1946 s’inserisce in un rifiorire di studi sulla categoria di dopoguerra e, in particolare, si situa all’interno di un filone che insiste sulla tesi della persistenza del conflitto – tra etnie, classi, religioni, ideologie, Stati − in tempo di pace (Keith Lowe, Savage Continent, 2012; Robert Gerwarth, The Vanquished, 2016, solo per citarne un paio). La perdita diffusa di parametri morali tradizionali, la trasformazione delle vittime in carnefici, le violenze e le privazioni cui le popolazioni civili erano sottoposte, la paura di un nuovo conflitto mondiale in arrivo. Un lato oscuro della ritrovata pace, rispetto al celebrato ottimismo della ricostruzione, affiora con forza dalle pagine di questo lavoro che, collocandosi a metà tra racconto giornalistico e indagine storica, offre un valido affresco del mondo in uscita dalla devastazione senza precedenti della seconda guerra mondiale.

Marco Maria Aterrano