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L’ascesa della finanza internazionale

Giuseppe Berta
Milano, Feltrinelli, 256 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2013

L’a. ricostruisce la storia della finanza internazionale della seconda metà dell’800
con un uso molto esteso di fonti e materiali di svariata provenienza (letterari, sociologici,
economici e politologici) fino a delineare un quadro articolato con spunti di riflessione
che consentono paragoni non irrilevanti e dotati – nella tesi dell’a. – di una forte
continuità
tra il mondo di allora e quello della finanza globale degli ultimi trent’anni. Il
volume fa propria la teoria, dominante tra gli specialisti di storia finanziaria, a cominciare
da Kindleberger e Eichengreen, secondo cui la presenza di una piazza finanziaria dominante
o egemone è condizione imprescindibile per una stabilità di ordine finanziario
globale, prima ancora che monetaria, cioè a monte dell’esistenza di un sistema monetario
internazionale riconosciuto, come era il caso del gold standard. Erano le condizioni economiche
generali e quelle politiche internazionali a spingere in quella direzione: il predominio
industriale-manifatturiero britannico, nonostante qualche inevitabile cedimento,
sintomo di un incipiente declino relativo, e l’assenza di un’alternativa credibile dopo la
sconfitta francese nella guerra franco-prussiana. Un ulteriore elemento di analisi che Berta
approfondisce, riprendendo una vasta letteratura sull’argomento, riguarda i meccanismi
di autoregolazione che gli ambienti della City di Londra seppero mettere in atto, raggiungendo
livelli estremamente elevati, capaci anche di porre in essere strumenti di controllo e
di intervento nei riguardi dei membri stessi della piazza finanziaria, specie quando taluni
comportamenti rischiavano di essere pregiudizievoli per la stabilità dell’intero sistema. Il
caso più noto, che mette in evidenza anche la stretta collaborazione informale esistente tra
i merchant bankers e la Banca d’Inghilterra, è rappresentato dal salvataggio della Baring,
una delle più antiche e prestigiose case bancarie londinesi, che andò in crisi nel 1890 a
causa di investimenti molto rischiosi effettuati in Argentina. Mostrando un’efficacia e
una rapidità di intervento nettamente superiori rispetto a quelle evidenziate dalle autorità
politiche e finanziarie nel corso della crisi più recente, quella del 2007-2008, avendo a
che vedere – è ovvio – con dimensioni finanziarie quantitative molto inferiori a quelle in
gioco più recentemente, il meccanismo di autoregolazione consentì al sistema di proteggersi
da un «effetto domino», che avrebbe provocato danni molto estesi a tutto l’ambiente
finanziario londinese. Se la vicenda dei Baring riguardava, in fondo, il versante interno
al mondo bancario, quello degli operatori, altre vicende portarono in primo piano quella
che oggi si chiamerebbe la tutela dei risparmiatori nelle fasi di più intensa e rischiosa speculazione
finanziaria. Berta ricostruisce assai bene alcune vicende che consentono di comprendere
lo sviluppo di strumenti informativi a protezione degli investitori, ma anche le
raffinate tecniche ideate da intermediari capaci di manipolare a loro favore le quotazioni,
confermando, una volta di più, la tesi continuista nella logica dei mercati finanziari.

Luciano Segreto