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Una generazione d’emergenza. L’Italia della controcultura (1965-1969)

Silvia Casilio
Milano, Le Monnier, prefazione di Mirco Dondi, 376 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2013

negli anni ’70 (Politica e violenza politica nell’estrema sinistra in Italia
(1974-1978), 2005) e di una raccolta di materiali sul ’68 (Il ’68 diffuso. Contestazione e
linguaggi in movimento, 2009, curato con Loredana Guerrieri) in questo volume Casilio
si propone di indagare la storia della controcultura italiana tra il 1965 e il 1969, riprendendo
il filo delle suggestioni promosse in un volume di qualche anno fa firmato da
Echaurren e Salaris (Controcultura in Italia 1967-1977, 1999).
La periodizzazione proposta è il primo esito dell’interpretazione secondo la quale
l’autrice si muove e che considera la controcultura come un fenomeno essenziale e decisivo
per comprendere l’emergere del ’68 nei suoi caratteri più dirompenti, ma che, al
tempo stesso, proprio del ’68, della sua ideologia e radicalizzazione politica fu vittima,
schiacciata fin quasi a scomparire, per poi rinascere in quel ’77 che avrebbe operato «la
ricomposizione tra “forme creative” e “politiche” dell’opposizione giovanile» (p. 121).
Tale chiave di lettura si riflette nella stessa impostazione del volume, i cui quattro capitoli
sono dedicati a ciascuno di questi quattro anni. Nei primi due, si ricompongono le
vicende dei provos, della cultura beat e dei cosiddetti capelloni, mentre negli ultimi due
capitoli sono raccontati il ’68 del movimento studentesco e il ’69 di quello operaio. In
questa scansione, il profilo di cosa sia la controcultura tende gradualmente a sfumare,
in un’apparente contraddizione che da una parte attribuisce a ogni manifestazione della
controcultura pre-68 un carattere politico, salvo non leggere alcun significato culturale in
quelle espresse nel biennio ’68-69.
Al fondo, il libro si configura come una sintesi, che raccoglie e ripercorre temi e
vicende dell’ampio ambito della contestazione già piuttosto indagate dalla ricerca storica.
In questa prospettiva, l’analisi dell’autrice privilegia la dimensione narrativa, appoggiandosi
alla letteratura secondaria, a qualche incursione archivistica in materiali peraltro noti
e, soprattutto, alle fonti a stampa, che vengono utilizzate affidando loro la capacità di
restituire tal quale la verità di eventi, situazioni, mentalità. Così, nell’argomentazione il
rapporto con queste fonti finisce per prevalere rispetto a quello di un confronto con la
ricerca storica e i suoi risultati.
In questi termini, l’ipotesi che la controcultura, dopo essere nata nei secondi anni
’60, sia stata inabissata dalla radicalità politica dirompente del ’68, per riemergere dieci
anni dopo negli indiani metropolitani e in altre manifestazioni del ’77 resta, in fondo,
irrisolta; sia perché il volume si arresta al 1969, sia, soprattutto, perché l’analisi non si
confronta con alcune espressioni, dall’arte al cinema underground al femminismo, che
probabilmente avrebbero problematizzato l’ipotesi, mostrando, forse, come la controcultura
sia sopravvissuta in qualche modo, sotterranea, al fatidico ’68.

Emmanuel Betta