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Peppino il rosso. Nobili ideali e vita grama di Giuseppe Mazzoleni, agitatore e garibaldino

Francesco Cattaneo
Milano, FrancoAngeli, 144 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2013

Per ripercorrere le vicende biografiche di Giuseppe Mazzoleni l’a. non si affida a un
vero e proprio saggio storico, ma, secondo l’intento programmatico della collana in cui
compare il volume – «I Documenti Raccontano» – narra senza inventare, con l’obiettivo
di «raccontare storie e restituire racconti» (p. 2). È una china potenzialmente scivolosa
quella su cui l’a. si avventura, capace tuttavia, nella sostanza, di non perdere mai la presa
e di tenersi ben lontano dalla manipolazione delle fonti. Inoltre gli elementi di contesto
che si forniscono rispetto al nodo storico dell’unificazione italiana e degli anni postunitari
sono corretti e sufficientemente completi. Se nelle pagine del volume non c’è mai la possibilità
di confondere le parole dell’a. con le righe di un testo contemporaneo agli eventi,
restano tuttavia alcune perplessità: risulta per esempio impossibile, data l’assenza delle
note, risalire ai documenti da cui si cita o ai quali si attinge, che pure ci si propone di «far
conoscere e valorizzare» (p. 2). A ciò sopperiscono in parte le ultime pagine, dedicate alla
nota archivistica e bibliografica (un po’ datata quest’ultima), in cui vengono descritte le
fonti utilizzate e i criteri di cui s’è fatto uso. In ogni caso, se lo scopo che ci si prefiggeva
era quello di individuare «storie buone per essere narrate» (p. 135), chiuse finora in fascicoli
trascurati e spesso mal conservati, l’obiettivo può considerarsi raggiunto. Infatti,
osservazioni metodologiche a parte, il volume di Cattaneo ricostruisce un percorso biografico
eloquente, la cui valorizzazione va ad arricchire filoni di ricerca alimentati negli
ultimi anni dal bicentenario garibaldino e dal centocinquantesimo anniversario dell’Unità
d’Italia: al pari di altre indagini, la riscoperta di Giuseppe Mazzoleni contribuisce in
effetti alla conoscenza dei moltissimi attori «anonimi» del Risorgimento, per i quali non
si dispone di diari, memorie, autobiografie, ma si deve attingere a risorse diverse. Nella
drammatizzazione che dichiaratamente ne offre l’a., le fonti a partire dalle quali si narra
confermano quanto emerge, generalmente, dalle carte di polizia relative agli ambienti antimoderati
nei primi anni postunitari: la particolare diffidenza verso quelle figure capaci
di fare da ponte tra i settori più politicizzati e le classi popolari, in grado di esercitare il
proprio ascendente anche attraverso le occasioni e i luoghi della sociabilità; la criminalizzazione
sistematica e spersonalizzante del dissenso politico; la tendenza a screditare la
dimensione privata e familiare di chi dopo l’unificazione continuò a stare «sulle barricate»
in nome di istanze sociali. Per concludere, si può pure apprezzare che nel volume ci si
interroghi sul come e sul perché accada di diventare patrioti, offrendo risposte tutto sommato
convincenti, che suggeriscono un intreccio di fattori

Eva Cecchinato