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Frontiere. L’impero britannico e la costruzione del Medio Oriente contemporaneo

Pinella Di Gregorio
Roma, Carocci, 207 pp., € 21,00

Anno di pubblicazione: 2013

L’a., dopo una serie di contributi molto interessanti e acuti dedicati al petrolio, al
Medio Oriente e alla presenza britannica nella regione (Oro nero d’Oriente. Arabi, petrolio
e imperi tra le due guerre mondiali, 2006; «Il più grande impero che il mondo abbia mai
conosciuto». Alle origini del revisionismo sull’imperialismo britannico, «Storica», 2008, solo
per citarne due), dà alle stampe questo agile volume, incentrato sulla politica britannica
nel Mashreq negli anni cruciali della costruzione del Medio Oriente contemporaneo,
dallo scoppio della prima guerra mondiale alla firma del Trattato di Losanna nel 1923,
con il quale la Turchia accettava il sistema dei mandati nei territori arabi ex ottomani e
venivano definite, salvo piccoli aggiustamenti successivi, le frontiere degli odierni Stati
mediorientali.
Si tratta di un libro sostanzialmente compilativo, sebbene l’a. utilizzi alcuni interessanti
– ma non innovativi – documenti di archivio britannici a contorno della propria
trattazione. Tuttavia, nonostante la parte di ricerca sia limitata, il libro ha molti meriti.
Innanzitutto, stilistici. La narrazione ha un ritmo avvincente, che i lettori – penso in
particolare agli studenti universitari di un corso di Storia del Medio Oriente contemporaneo
– non potranno non apprezzare. Inoltre, il volume sistematizza in maniera concisa,
ma molto dettagliata, gli avvenimenti di un periodo di tempo fondamentale per il Medio
Oriente come lo conosciamo oggi. Particolarmente riuscite sono le parti in cui l’a. presenta
i numerosi attori della politica britannica: politici, funzionari coloniali, membri delle
forze armate, intellettuali, spie, ciascuno con una propria agenda. Nel volume ci sono
tutti: da Lloyd George a Churchill, da Percy Cox a Ronald Storrs, da Gertrude Bell all’immancabile
Lawrence d’Arabia. E di ognuno di loro vengono messi in rilievo capacità,
competenze, passioni, ambizioni. Ne esce confermata l’immagine di un Impero britannico
molto meno organizzato e dotato di una strategia unitaria di quanto si fosse creduto in
passato, in linea con i più recenti studi sull’argomento. Al riguardo, vale la pena segnalare
come notevole sia l’apparato di note. L’a. dimostra, ancora una volta, una conoscenza
molto approfondita della vasta bibliografia esistente e il volume è anche un modo per fare
il punto della storiografia sul tema. Probabilmente, la parte meno approfondita è quella
relativa alla nascita del mandato britannico in Palestina: la gestazione della Dichiarazione
Balfour e la firma dell’accordo tra Faysal ibn Husayn e Chaim Weizmann sono relegati in
poche righe, mentre avrebbero meritato certamente più spazio.
L’ultimo apprezzamento è per l’equilibrata conclusione. Sebbene gli avvenimenti
descritti «contenevano in sé i semi della contestazione successiva» (p. 201) – molti dei
quali evidenti nei conflitti in corso in Libano, Iraq, Israele/Palestina, per non parlare della
drammatica situazione in Siria – l’a. evita di «fare del presentismo storiografico, attribuendo
[…] l’origine di tutta la problematica agenda politica del Medio Oriente attuale
a un unico preciso ordine causale» (p. 202).

Arturo Marzano