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Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43

Anna Foa
Roma-Bari, Laterza, 143 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2013

Il libro ricostruisce le vicende della deportazione degli ebrei romani da un angolo
visuale particolare: dalle finestre di un palazzetto in via Portico d’Ottavia 13. Si tratta di
un approccio improntato alla microstoria, ma che ha come punto di riferimento ideale
implicito la lezione di Giacomo Debenedetti. Non solo per l’utilizzo delle fonti orali, ma
anche per la scelta di un taglio narrativo che aiuta a entrare nella storia immedesimandosi
nei personaggi che la popolano: una scommessa riuscita per un libro di storia che ha indubbiamente
un impianto scientifico. L’a. ha infatti intrecciato diverse tipologie di fonti,
dalle testimonianze orali alle carte processuali del dopoguerra, fino alla documentazione
dell’archivio della Comunità ebraica romana. Il quadro che ne emerge è molto vivido e
permette al lettore di immergersi in quelle tragiche vicende con gli occhi dei componenti
delle famiglie Funaro, Astrologo, Fatucci, Terracina, e altre, che abitavano nella casa al
Portico d’Ottavia. Avrebbe arricchito il quadro qualche notizia in più riguardo alle conseguenze
delle leggi razziste sulle vite di queste famiglie: parte dal 1938 il percorso che
avrebbe portato al 16 ottobre 1943. Infatti le liste usate per andare a prendere gli ebrei
casa per casa appena un mese e qualche giorno dopo l’occupazione, i nazisti le trovarono
pronte e aggiornate grazie all’amministrazione fascista, che le aveva stilate in base alle leggi
razziste. L’a., grazie alla scelta di intrecciare fonti diverse, non indulge alla tentazione,
presente in molti testi degli ultimi anni, del feticismo delle testimonianze orali, le quali,
come tutte le fonti, vanno sottoposte alla critica documentaria. L’a. maneggia con finezza
anche le carte processuali, quando ricorda che se si voleva condannare i responsabili
degli arresti di ebrei bisognava dimostrare che «erano stati motivati non dall’odio verso
gli ebrei bensì dalla prospettiva del guadagno» (p. 103), essendo coperti dall’amnistia
del 1946 i reati politici. Per questo da quelle carte non si capisce il grado di adesione
dei collaborazionisti repubblichini ai motivi ideologici della caccia all’ebreo: che ruolo
giocava l’antisemitismo? Una cosa però la sappiamo e l’a. la sottolinea: quando agivano le
bande repubblichine, protagoniste degli arresti dopo il 16 ottobre, regnava un alto grado
di arbitrarietà nella scelta delle vittime, per cui in molti casi venivano arrestati gli uomini
e lasciate in libertà le donne, dando anche ad intendere che il pagamento di un riscatto
avrebbe portato alla liberazione del parente arrestato (p. 81). Un macabro e criminale
affarismo spesso guidava le scelte degli aguzzini repubblichini. In altri casi invece nessuno
sfuggiva all’arresto. Quando invece agivano direttamente i nazisti, il criterio era invariabile:
tutti gli ebrei venivano arrestati, senza alcuna distinzione. In conclusione il libro
unisce il rigore scientifico a una capacità narrativa insostituibile per raggiungere il grande
pubblico, essendo avvincente e convincente allo stesso tempo.

Gabriele Rigano