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La patria in festa. Ritualità pubblica e religioni civili in Sicilia (1860- 1911)

Claudio Mancuso
prefazione di Massimo Baioni, Palermo, Edizioni La Zisa, 457 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2013

Da almeno due decenni gli specialisti di storia italiana dell’800 riservano un’attenzione
sistematica alle liturgie pubbliche postunitarie e alla codifica, che molti tuttora
ritengono difettiva, di una religione civile per gli italiani da parte delle istituzioni centrali
e periferiche del nuovo Stato. La ricerca di Mancuso, pur ammettendo la necessità di
mirati approfondimenti per dirimere la vexata quaestio della ricezione delle pedagogie
patriottiche, si colloca tra quanti suggeriscono di guardare al fenomeno al di fuori del
paradigma (implicitamente eccezionalista) della nazione mancata. Per ragioni diverse – la
memoria conflittuale dell’epopea garibaldina, le temute spinte separatiste e autonomiste,
un ordine pubblico fragile, l’azione e le reti di relazioni politiche di un personaggio come
Francesco Crispi – la Sicilia postunitaria conobbe notevoli investimenti sul piano della
nazionalizzazione degli spazi pubblici in periferia, e sia le amministrazioni locali sia l’universo
associazionistico dimostrarono in ciò un deciso attivismo. In un equilibrio mutevole
fra nuovi calendari, miti, simboli, protagonisti e repertori tradizionali delle feste religiose
e di sovranità – temi a cui l’a. presta un’attenzione originale, a partire dalle riflessioni dei
demologi siciliani di fine secolo come Giuseppe Pitrè – il volume abbraccia in uno sguardo
unitario una sorprendente varietà di pratiche di memoria e la rispettiva posta politica
in gioco: i centenari legati al passato medievale (come quello del Vespro, celebrato nel
1882 in anni di tese relazioni diplomatiche con la Francia); la festa dello Statuto (che si
conferma una celebrazione istituzionale, militare e scolastica); le ricorrenze dinastiche
(Trapani e le maggiori città dell’isola furono tra le prime in Italia a erigere monumenti a
Vittorio Emanuele II); la festa del 20 settembre (che a inizio ’900 nei comuni in mano
ai blocchi popolari consentì di esprimere un sempre più franco anticlericalismo); l’onnipresente
culto di Garibaldi, seguito sia nelle manifestazioni della religiosità e del folklore
popolari (fin dal 1862 figuranti che impersonano Garibaldi e i suoi volontari affiancano
il Mastro di Campo nella battaglia rituale contro i saraceni al carnevale di Mezzojuso), sia
in quelle istituzionali o legate ai sodalizi (lui vivente e poi defunto, quando le sue esequie
e commemorazioni veicolarono il modello di una morte laica e supportarono la monumentalizzazione
delle imprese e dei protagonisti del 1860, compreso lo stesso Crispi).
Con simili occasioni «pro-sistema», in uno dei capitoli forse più riusciti, l’a. non manca
di confrontare i martirologi, calendari e rituali elaborati da parte delle culture politiche
di opposizione – repubblicani, socialisti e cattolici – e suggerisce che proprio in queste
dinamiche di «opposizione-conciliazione» tra i vari soggetti, istituzionali e non, consista
«l’elemento distintivo del processo di costruzione della nuova tradizione patriottica nazionale
» (p. 411).

Alessio Petrizzo