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De Gasperi e lo «Stato forte». Legislazione antitotalitaria e difesa della democrazia negli anni del centrismo (1950-1952)

Federico Mazzei
prefazione di Pierluigi Ballini, Firenze, Le Monnier, 451 pp., € 29,00

Anno di pubblicazione: 2013

Il volume si basa su un’ampia documentazione, dagli scritti e discorsi di De Gasperi
ai documenti dei partiti, dagli Atti parlamentari alla stampa, dagli archivi istituzionali
italiani e statunitensi a molti archivi privati. A lungo in certa storiografia sui governi De
Gasperi, a proposito del tema dello «Stato forte», si è indicato un tentativo di forzatura
verso una democrazia protetta in senso anticomunista. Già Scoppola, nel suo La proposta
politica di De Gasperi, avanzava la necessità di approfondire l’ultima fase della stagione
governativa di De Gasperi «aperta a tutte le ipotesi», compresa quella di una incrinatura
dell’anticomunismo democratico che aveva caratterizzato la linea centrista. L’obiettivo
dell’a. è quello di «tracciare lo sviluppo e le scansioni periodizzanti della politica degasperiana
di “Stato forte” per verificare anche sul piano della documentazione governativa la
fondatezza delle contestazioni rispettivamente oscillanti fra l’eccesso repressivo da “Stato
di polizia” e l’acquiescente passività dei pubblici poteri di fronte alla militarizzazione del
PCI» (p. 6). Articolato in tredici capitoli, il lavoro prende le mosse dalle premesse storicoculturali
dell’idea di «Stato forte» di De Gasperi, che aveva assistito in prima persone
all’ascesa incontrastata del fascismo, e aveva fatto tesoro degli scritti di Wilhelm Röpke,
l’economista tedesco – esule a Ginevra dal 1937 – fautore di una terza via tra liberismo
e collettivismo, che dalla caduta della Repubblica di Weimar aveva tratto lezione per la
definizione della necessità di uno Stato «arbitro robusto» capace di «tracciare il limite tra
l’agendum e il non agendum» (p. 15). L’a. ricostruisce le modalità con cui il clima di mobilitazione
comunista – attivato dal 1949 a livello internazionale da Mosca – ponesse in
paesi come l’Italia e la Francia il problema della «sicurezza interna». Tale problema venne
aggravato dalla guerra di Corea che a partire dal 1950 esasperò le divisioni nella lotta
politica. Alla difesa della «sicurezza interna», in un quadro di salda scelta democratica,
mirarono una serie di disegni legislativi antitotalitari (dal progetto di difesa civile alla
legislazione penale contro il sabotaggio, dal progetto di legge sindacale alla riforma «polivalente
»), poi generalmente destinati all’accantonamento. Fece eccezione la legge Scelba
sull’antifascismo, approvata nel 1952, che incise nelle vicende del Msi.
L’insieme di iniziative – l’a. le definisce «legislazione coreana» per il nesso con le
vicende internazionali – perde ragion d’essere per la morte di Stalin, la conclusione del
conflitto asiatico e l’esito del voto del 1953 che stabilizza il sistema politico in Italia. Se il
fallimento degasperiano del 1953 da un lato «avrebbe definitivamente aperto la strada alla
transizione del sistema verso formule di governo progressivamente distanti dal quadripartito
della prima legislatura» (p. 324), a seguito di quel voto la dialettica politica si sarebbe
sviluppata con modalità più condivise e con meno apprensioni per la democrazia.

Augusto D’Angelo