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Storia della magistratura italiana

Antonella Meniconi
Bologna, il Mulino, 365 pp., € 26,00

Anno di pubblicazione: 2013

È la storia di un corpo dello Stato dall’Unità a fine ’900, ma, grazie alla padronanza
della bibliografia sull’argomento, prodotta soprattutto a partire dagli anni ’60 del secolo
scorso, è anche storia della storiografia, che intreccia l’evoluzione della problematica storica
e delle tecniche di ricerca con la ricostruzione dei fatti, con l’emergere di sensibilità
politiche e sociali cangianti verso le istituzioni e chi le impersona. Il volume è un punto
d’arrivo perché prosegue il disegno concepito negli anni ’70 e solo in parte realizzato da
Pietro Saraceno, prematuramente scomparso, pioniere, anche se non isolato, di una nuova
concezione della storia della magistratura, a cui ha contribuito con raccolta di fonti, di
bibliografie e banche dati, creazione di una biblioteca specializzata, nonché di esemplari
anticipazioni di quella che avrebbe dovuto essere la storia della magistratura come lui la
intendeva. Punto d’incontro tra il lavoro di Meniconi e quello di Saraceno è l’accoglimento
del metodo di studio suggerito e praticato da quest’ultimo, ossia la ricostruzione prosopografica
individuale e collettiva di un corpo e di un ceto sempre strettamente intrecciati
tra loro, con attenzione da un lato all’avvicendarsi di fasce generazionali con formazione,
esperienze e sensibilità omogenee e dall’altro al rapporto con i centri del potere politico
e burocratico.
Entrambi concordano nell’individuare due grandi cesure nella storia giudiziaria italiana,
una a fine ’800 con l’esaurirsi della generazione dei magistrati politico/risorgimentali;
l’altra negli anni ’70 del ’900 con l’estinguersi di quella formatasi e operante sotto
il fascismo. Una diversa logica guida invece la scansione temporale dell’intero periodo
proposta da Meniconi, non più impostata sul binomio «magistratura forte/magistratura
debole», perché messa in riferimento al potere politico (sia esso quello del governo o quello
della società), bensì sull’importanza delle riforme degli ordinamenti e della creazione
di nuovi istituti.
L’a. ha affrontato questa indagine con alle spalle una ricca esperienza di studi prosopografici
nel settore non disgiunta dall’interesse per la storia degli organi in cui si articola
la magistratura e delle associazioni dei magistrati. Nelle pagine introduttive l’a., mentre
illustra quali vuoti conoscitivi la sua ricerca miri a colmare, indica altresì che cosa manchi
per un’analisi esauriente del ruolo della magistratura, ossia studi sull’ordinamento, ma
soprattutto sugli atti prodotti dai giudici nell’esercizio della funzione (pp. 13-14).
Un connotato originale dell’analisi di Meniconi è dato dalla considerazione dei
magistrati anche come dipendenti dello Stato; pertanto si ricostruiscono profilo delle
carriere, organici, stipendi e il peso del «carrierismo» molto presente in un modello di magistrato
a prevalenza tecnico-burocratica. Solo a partire dagli anni ’70 del ’900 si registra
una svolta rispetto al passato: nasce un nuovo tipo di giudice, più libero, più sensibile ai
valori della società democratica, anche se non ancora svincolato dai ruoli di supplenza nei
confronti di funzioni pubbliche che non gli spetterebbero.

Dora Marucco