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Il lettore eccedente. Edizioni periodiche del samizdat sovietico, 1956-1990

Valentina Parisi
Bologna, il Mulino, 433 pp., € 38,00

Anno di pubblicazione: 2013

«Samizdat: si scrive da sé, ci si redige da sé, ci si censura da sé e ci si distribuisce da sé
e alla fine ci si ritrova in carcere, soli con se stessi». La citazione di Vladimir Bukovskij, posta
in esergo alla premessa (p. 9), sintetizza bene la storia narrata dal volume: l’esperienza
più che trentennale del samizdat, i testi «prodotti in proprio», manoscritti o dattiloscritti,
«impubblicabili» per i loro contenuti (ma talvolta pure per la loro forma sperimentale)
discosti dai canoni della letteratura ufficiale rappresentata dall’Unione degli Scrittori. L’a.,
dottore di ricerca in letterature slave, ricostruisce con rigore e acribia la parabola delle
edizioni periodiche: almanacchi, antologie, riviste, veicoli di una cultura non ufficiale, la
cosiddetta «seconda cultura» [vtoraja kul’tura], alternativa al realismo socialista. Al centro
della narrazione è una generazione di autori, editori, critici e lettori sovietici, laddove
le figure si intrecciano e si confondono. Il lettore «eccedente», richiamato nel titolo, è
infatti un soggetto che agisce, al tempo stesso, da produttore e da fruitore; che sfugge
al controllo statale e quindi, come rileva l’a., doppiamente «eccedente», «da una parte,
rispetto a un sistema culturale e educativo che […] sembrava finalizzato a impedirne
la comparsa; dall’altra, in riferimento alle funzioni stesse tradizionalmente assegnate al
fruitore del testo letterario» (p. 45). Letteratura spesso autoreferenziale, di carattere «privato,
domestico, da camera» (p. 216), «naturale prolungamento delle discussioni prodotte
all’interno della propria cerchia amicale» (p. 218), talvolta in dialogo con la letteratura
proveniente dall’emigrazione [tamizdat] e con la cultura occidentale, le edizioni periodiche
del samizdat sono analizzate anzitutto come prodotto letterario, artistico e culturale.
Il focus dell’a. è, infatti, per la sua stessa formazione, centrato anzitutto sul testo. Quello
che scrive ha però rilevanza anche per lo storico. L’approccio adottato ha, infatti, il pregio
di scardinare l’equivalenza tra samizdat e dissenso, affermata da una lettura «eroica» del
fenomeno, tipica del clima di contrapposizione ideologica della guerra fredda, che vedeva
nell’autoproduzione letteraria uno strumento anzitutto politico. L’a. mette in rilievo
come esso sia stato, invece, un fenomeno essenzialmente culturale – peraltro non sempre
di valore artistico eccelso – e solo secondariamente di carattere politico (del resto «tutto è
politica» era lo slogan in voga in quegli stessi anni in Occidente). Solo in alcuni casi esso
si saldò con gli umori antisovietici, sfociando nell’aperta dissidenza, come in occasione
delle letture di piazza Majakovskij, autentico «samizdat orale» (L. Polikovskaja, p. 248),
quando accanto ai versi poetici risuonarono parole d’ordine critiche verso il sistema. La
natura primariamente artistica e letteraria del samizdat non impedì comunque al regime
di tacciare di «antisovietismo» gli esponenti della «seconda cultura», con conseguenze
esistenziali pesanti per molti di essi.

Simona Merlo