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Sei petali di sbarre e cemento. Milano, carcere di San Vittore 1943-1945

Antonio Quatela
Milano, Mursia, 166 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2013

L’a. di questo volume, docente di storia nelle scuole superiori, si occupa da molti
anni di studi sulla Resistenza in collaborazione con l’Anpi di Milano. Nel 2012 aveva
già pubblicato Pippo vola sulla città. Ricordi e testimonianze di bambini e ragazzi milanesi
tra fascismo, guerra e Resistenza, e la ricostruzione qui proposta è a sua volta definibile
come una collezione di ricordi e testimonianze. Sei petali di sbarre e cemento, infatti, che
pure cita occasionalmente documenti reperiti in fondi giudiziari e polizieschi o in archivi
privati di famiglie, è costruito essenzialmente su memorie personali – primarie e secondarie
– e sulla letteratura storiografica (anche se ne rende conto solo parzialmente). Non
è dunque improprio che anche questo suo nuovo titolo (come il precedente) appaia nella
collana Testimonianze fra cronaca e storia – 1943-1945: seconda guerra mondiale.
Così, più che gli studiosi di giustizia, polizia o criminalità, per i quali il volume non
aggiunge particolari novità, saranno gli studiosi di guerra e Resistenza che potranno apprezzare
questo lavoro il quale, attraverso una narrazione secca e appassionata, dona voce
e contesto a quanti – oppositori, ebrei e cittadini comuni – ebbero la sventura di essere
reclusi (o di transitare) nel carcere milanese di San Vittore tra il 10 settembre 1943 e il
25 aprile 1945 (quando un gruppo di partigiani prese finalmente possesso della struttura
liberando i prigionieri politici e i prigionieri di origine ebraica).
I sei capitoli che compongono il libro portano titoli evocativi. Se i primi due descrivono
il carcere e la natura del potere tedesco in quello di Milano (Una strana margherita
e Qui comandiamo noi), i capitoli centrali (Le belve di piazza Filangieri 2 e I “petali”
del calvario) raccolgono invece storie di atroce violenza. Su questo sfondo, il volume è
comunque in grado di mettere in luce la consapevolezza dei molti che il fascismo lo affrontarono
di petto, assumendosi l’onere di questa scelta politica. Diversa fu la sorte dei
detenuti ebrei, e speciale fu anche il trattamento che le SS riservarono loro. Le descrizioni
degli abusi e della ferocia, pur per certi versi già noti, o almeno immaginabili, non cessano
di lasciare attoniti, soprattutto per via della sistematicità con cui erano perpetrati. Dopo
il racconto delle violenze, delle morti e delle umiliazioni, affrontato il tema della deportazione
nel quinto capitolo (Addio Milano), in quello conclusivo l’a. fa una concessione a
pochi Spiragli di umanità, descrivendo la catena di solidarietà che esisteva tra i detenuti,
alcuni medici e infermieri, poche guardie italiane, gli interpreti e le suore.
Si tratta di un libro che è frutto di indubbia passione civile e umana, la cui maggior
ricchezza sta nell’importanza delle testimonianze che contiene, come sintetizza la sua dedica
«ai protagonisti, vittime della barbarie nazifascista passati da San Vittore che, con il
loro sacrificio, ci hanno resi liberi» (dai Ringraziamenti, p. 166).

Luigi Vergallo