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Storici della Rivoluzione francese. Lamartine, Blanc, Michelet

Salvatore Tiné
Catania, Edizioni del prisma, 259 pp., € 35,00

Anno di pubblicazione: 2013

«Negli anni ’30 e ’40 del XIX secolo, la cultura politica del repubblicanesimo francese
riscopre l’attualità della Rivoluzione del 1789: se ne afferma allora con Lamartine,
con Blanc, con Michelet, una nuova immagine storiografica, tesa a rivendicare i contenuti
democratici e sociali di un’esperienza storica eccezionale e drammatica, che si contrappone
radicalmente all’interpretazione “orleanista” della storia della Francia rivoluzionaria e
al paradigma della “rivoluzione borghese” che l’aveva sorretta». Tale il fulcro della ricerca
storiografica di Salvatore Tiné, quale risulta denunciato nella copertina del volume, in
mancanza di un’introduzione/prefazione o postfazione che sia esplicativa della scelta dei
tre storici «quarantotteschi» e correlatrice degli stessi. Comunque il volume ha il pregio, e
l’utilità per lo studioso, di presentare tre corposi saggi che si aprono e si svolgono compiutamente
attorno al fulcro del repubblicanesimo, che, esploso il 10 agosto 1792 con l’assalto
popolare alle Tuileries ed evolutosi nel Terrore giacobino-robespierrista della Prima
Repubblica, riuscirà a imporsi sulla scena politica francese solo con l’avvento della Terza
Repubblica, dopo esserne stato bandito fin dalla Restaurazione da ogni sorta di regime.
Nella lunga fase «rivoluzionaria» della storia francese segnata dal leitmotiv «terminer
la Révolution», diversamente interpretato a seconda delle aspettative della Rivoluzione,
i fautori-attori della Seconda Repubblica vanno a ricercare legittimazione e ispirazione
nei precedenti rivoluzionari, siano essi quelli del 1789 o quelli del 1792-93, riscrivendo
la storia della Grande Rivoluzione dalla propria prospettiva politica. Così la Rivoluzione
del ’48 si assume – ma vanamente, come la Storia dimostrerà – il compito di «terminer
la Révolution» realizzandone quelle promesse di liberté, égalité, fraternité che avrebbero
composto una democrazia popolare e sociale se non fossero state ostacolate dal liberalismo
borghese, élitario, individualista ed egoista.
I tre storici, figli tutti dell’illuminismo, interpretano passato e presente nell’ambito
di una filosofia della storia progressista, che vede nella Grande Rivoluzione una tappa dello
sviluppo morale non solo della Francia ma di ogni popolo e nazione e quindi dell’intera
umanità, grazie a quel principio di giustizia, fatto della triade liberté, égalité, fraternité, e
fondato sul primato della legge e del diritto, in cui sta l’essenza della Rivoluzione. Comune
è l’avversione anti-aristocratica e anti-borghese, e pertanto anti-anglosassone e antiorleanista.
Comune è il repubblicanesimo democratico, ma diversa ne è l’intonazione:
«cristiana», quella di Lamartine; «socialista», quella di Blanc; «nazional-popolare», quella
di Michelet. E diversa la valutazione della Grande Rivoluzione che ne risulta, ai fini della
sua «utilità» nei confronti del ’48: positiva, per i primi due, nulla per il terzo.

Diana Thermes