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Stalin e l’Italia (1943-1945). Diplomazia, sfere di influenza, comunismi

Roberta Alonzi
Soveria Mannelli, Rubbettino, 300 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2013

Sarebbe un volume interessante questo di Roberta Alonzi se non fosse afflitto da uno stile tanto caparbiamente quanto vanamente ricercato che penalizza in maniera non banale il lettore. L’autrice si cimenta in una vasta opera di approfondimento e sistematizzazione dell’amplissima bibliografia esistente sul tema della posizione dell’Italia «antifascista», stretta tra le logiche e dagli interessi spesso contrapposti di Londra, Washington e Mosca negli ultimi due anni del conflitto. E tenta una rilettura di tutto questo imponente materiale alla luce non solo di una consultazione attenta dei documenti diplomatici italiani, editi e inediti, ma soprattutto di un corpus documentario originale e molto interessante proveniente dal Ministero degli Esteri della Federazione russa. Memoranda, brani della corrispondenza tra Aleksandr Bogomolov e Andrej Vyšinskij, documenti del Segretariato di quest’ultimo, relazioni di Michail Kostylev, arricchiscono la comprensione di molti aspetti delle relazioni italo-sovietiche tra il 1943 e il 1945 senza però in fondo riuscire a modificare sostanzialmente le ormai consolidate principali interpretazioni storiografiche su questo tema. L’Italia non fu una priorità nella visione sovietica né durante gli ultimi due anni di guerra né nel periodo immediatamente seguente alla sua conclusione. I sovietici approfittarono dei margini di manovra aperti dalle tensioni anglo-americane circa il futuro della penisola e delle sue colonie e colsero le occasioni offerte dalle acrobatiche manovre del governo italiano e dei suoi diplomatici tra i quali Quaroni che, come messo bene in luce dall’autrice, conduceva però il gioco a Mosca privo di reali istruzioni. Poco essi si curarono delle questioni interne italiane, per le quali del resto godevano di un fedele garante nel Pci; relativa importanza attribuirono alla questione di Trieste, convinti che essa fosse cara ai vecchi nazionalisti ma non alla popolazione italiana in quanto tale; un apparente maggiore interesse mostrarono per la possibilità di intrattenere nuovi rapporti commerciali con l’Italia, forse una tattica per comprendere meglio, come sottolinea l’a. in maniera interessante, quanto l’economia italiana si stesse legando o meno a quella americana. Alla resa dei conti, però, se e quale sia stato il dibattito interno all’entourage di Stalin sulla posizione da tenere verso l’Italia rimane tutt’oggi un mistero, né il volume di Roberta Alonzi chiarisce le idee in tal senso. L’a. stessa riconosce che «Stalin, soprattutto nel caso italiano, seguì una linea molto più flessibile rispetto ai suggerimenti dei suoi stessi collaboratori, i quali nelle loro riflessioni erano ligi all’ortodossia sovietista, dando prova di fedeltà al regime» (p. 253). Ma il pragmatismo della politica estera staliniana è ormai cosa nota da tempo alla storiografia che si occupa dell’Unione Sovietica e del suo ruolo nel contesto internazionale.

Elena Dundovich