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Dalla guerra fredda alla grande crisi. Il nuovo mondo delle relazioni internazionali

Ottavio Barié
Bologna, il Mulino, 280 pp., € 23,00

Anno di pubblicazione: 2013

In un suo film del 1982, Il mondo nuovo, Ettore Scola immaginava un incontro fittizio tra Thomas Paine e un anziano Giacomo Casanova nella notte della fuga mancata di Luigi XVI. Sulla strada per Varenne i due riflettevano sui cambiamenti della politica, della cultura e della società, percependo i segni di una tormenta, alla fine di un secolo e di una lunga stagione della storia europea e mondiale.
In questo libro c’è un passaggio che apre il secondo capitolo e che mi ha fatto tornare alla mente quel dialogo notturno; si riferisce all’ingresso negli anni ’90 del XX secolo, descritto come «La nascita del nuovo mondo[…] considerata qui nella conclusione diplomatica della guerra fredda fra le due superpotenze Usa e Urss che sanziona ufficialmente la vittoria dell’Occidente» (p. 61) di cui, però, poche righe più in là si evidenziano un limite e un’incognita: «perché la sconfitta e la fine dell’Unione sovietica non si accompagna a quella dell’altro stato comunista dell’Oriente, la Cina postmaoista. Che non solo sopravvive ma si consolida […]».
Da qui in avanti si dipana la narrazione di un saggio che rappresenta un singolare esperimento storiografico. Forse solo in parte riuscito e probabilmente criticabile per alcune scelte, ma senza dubbio meritevole di lettura e, forse, di aprire un dibattito tra gli studiosi. Innanzitutto perché l’autore, Ottavio Barié, è uno storico di lunghissimo corso che ha dedicato buona parte della sua vita accademica allo studio della guerra fredda all’interno delle relazioni internazionali, ma sempre con la prospettiva di un contemporaneista. Uno studioso che ha avuto il coraggio di gettarsi, senza rete, in un tentativo di analisi del post bipolarismo sulla base del proprio bagaglio esperienziale rimettendo in discussione (operazione tutt’altro che comune) le proprie categorie storiografiche alla luce della storia del tempo presente. Dopo aver rimarcato che la fine della guerra fredda non fu il frutto di un armistizio bensì di una pacificazione complessa, dal terzo al quinto capitolo l’a. si dedica a richiamare i dilemmi della «superpotenza superstite», alle prese con il passaggio dal «secolo americano» al «secolo asiatico» e con le incognite del capitalismo globale che incidono sul sistema delle relazioni internazionali, sulle politiche nazionali e sul vivere quotidiano. Si introducono naturalmente le grandi trasformazioni geopolitiche del Medio Oriente, i dilemmi della Nato senza nemico, l’irruzione dei radicalismi religiosi e dei terrorismi post 11 settembre, l’impatto delle nuove Itc, l’integrazione europea e le sfide mancate del multilateralismo. L’a. però riflette anche sul rapido rattrappirsi della memoria storica, echeggiato nel dibattito, mediatico e storiografico, degli anni ’90. Un libro certo basato principalmente su fonti a stampa e pubblicistica, nato lontano da archivi e da alcune nuove piste di ricerca. Ma anche un libro che definirei braudeliano, nella capacità di metabolizzare la storia immediata inserendola in una riflessione lunga, pacata e quasi rilassata, tanto da farsi, a tratti, illuminante.

Massimo De Giuseppe