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Fanelli, A casa del popolo. Antropologia e storia dell’associazionismo ricreativo

Antonio Fanelli
Roma, Donzelli, 255 pp., € 30,00

Anno di pubblicazione: 2014

Il volume tratta della rilevante presenza di Case del popolo in provincia di Firenze, in particolare dalla nascita dell’Arci, vale a dire dal 1957. L’a. si concentra perciò su un periodo particolare di questo fenomeno di sociabilità, dando per scontate e già ampiamente trattate dalla letteratura storica le esperienze delle Case del popolo in epoca prefascista e nel secondo dopoguerra, come pure delle Case del Fascio. Il taglio dell’analisi è a metà tra l’antropologico e il politologico, e si interessa tanto di quartieri periferici del capoluogo, come di circoli dei più piccoli borghi rurali. Si intervistano numerosi protagonisti nell’animazione di queste esperienze associative, ma ci si confronta abbondantemente e criticamente anche con tutti gli studi sulla «subcultura rossa» riferiti alla Toscana.
Fanelli presta una particolare attenzione a come tale fenomeno sia potuto diventare indice di trasformazioni interne alle culture popolari, interrogandosi spesso su quanto il tempo libero possa esserne una rilevante espressione, anche in ambienti ben sensibili alla politicizzazione. La problematica centrale del libro è valutare quanto, nell’ultimo sessantennio, nel tempo libero abbia potuto risultare netta una distinzione tra l’impegno politico o il disimpegno, in un’epoca in cui la militanza politica ha avuto in Italia una discontinua ma sostanziale parabola discendente. Ridottasi di parecchio l’attenzione dei ceti popolari verso i messaggi e le iniziative lanciati dai partiti politici della sinistra, lo spazio delle Case del popolo ha coinvolto sempre più un volontariato dove l’azione sociale si pone come servizio a una comunità, dove la finalità politica più immediata può essere quella dell’aggregazione, o di selezionare i messaggi culturali da trasmettere tra i frequentatori abituali o occasionali dei circoli. Situazioni che possono essere risultate scottanti nel periodo dal 1968 al 1977, quando si facevano acute le critiche della nuova sinistra o del femminismo a forme tradizionali di aggregazione ritenute subalterne a culture prive di antagonismo, oppure sessiste. Tra i volontari impegnati nella gestione di tali strutture, taluni rivendicano un protagonismo politico, mentre altri vedono in questo attivismo fuori dall’orario di lavoro semplicemente un servizio, legato a valori vagamente civili e umanitari, ma non nettamente qualificabile come appartenenza politica, a differenza di quanto avveniva sino alla fine degli anni ’80. Fanelli mostra con efficacia come la struttura aggregante delle Case del popolo, sia risultata guidata dalle molteplici attività del circuito Arci: dallo sport al ballo, dai giochi alle conferenze, dalla fruizione di spettacoli e musica alle sagre gastronomiche. La rete associativa dell’Arci pare avere offerto sollecitazioni efficaci a variegati circuiti di sociabilità, spingendoli a modificarsi per accogliere nuove generazioni e settori popolari che la politica dei partiti faticava sempre più a raggiungere, mentre le Case del popolo li avrebbero coinvolti in nuove forme di accesso ai consumi e adattati a mutate forme della comunicazione sociale.

Marco Fincardi