Cerca

A scuola di dissenso. Storie di resistenza al confino di polizia

Ilaria Poerio
Prefazione di Paul Corner, Roma, Carocci, 241 pp., € 26,00

Anno di pubblicazione: 2016

Il confino di polizia fu il principale strumento con il quale fascismo riuscì a instaurare
un regime di polizia. Come per il precedente domicilio coatto, quest’istituto ebbe una
stretta valenza politica. Non è un caso che entrambe queste misure siano state emanate
per fronteggiare situazioni di crisi e dissenso crescente. Il 3 novembre 1926 può essere
considerata la data di fondazione della definitiva svolta autoritaria del regime, attraverso
le leggi fascistissime, con l’istituzione del confino di polizia, e il disegno di legge con i
«Provvedimenti per la difesa dello Stato», con il quale viene reintrodotta in Italia la pena
di morte e creato il Tribunale speciale.
Durante il Ventennio il confino politico fu la misura più incisiva per mettere a tacere
il dissenso. Organizzato efficacemente dal capo della polizia Arturo Bocchini, colpisce
come un’«arma silenziosa», chirurgica e implacabile: bastava un semplice sospetto di antifascismo
per essere condannati. Dal 1926 al 1943, circa 15.000 italiani furono inviati
in sperduti paesi dell’Italia centro-meridionale e i più pericolosi nelle solitarie isole del
Mediterraneo, che Paul Corner chiama la «Siberia del Duce». È sull’analisi di quell’«arcipelago
del diavolo» (isole di Favignana, Lampedusa, Lipari, Pantelleria, Ponza, Tremiti,
Ventotene e Ustica), che l’a. ricostruisce un’inedita storia politico-culturale di come quei
luoghi divennero dei «laboratori politici» e delle vere e proprie «scuole del dissenso».
Per molti degli antifascisti, la condanna al confino nelle colonie insulari, nonostante
la privazione della libertà, i soprusi e le violenze subite, fu un’opportunità per creare vere
e proprie scuole di cultura politica. L’a. approfondisce quest’aspetto ancora poco indagato
di come le persone confinate abbiano vissuto il loro periodo di prigionia, tutt’altro che
una «villeggiatura». Utilizzando la documentazione ufficiale del Ministero dell’Interno, la
corrispondenza dei confinati e facendo ricorso alla sterminata memorialistica, ci ricorda
come, in quelle isole di confino, gli antifascisti riuscirono a organizzare spazi di autonomia
organizzativa in un contesto di prigionia. Con coraggio e salda determinazione, la
maggioranza degli oppositori politici rinunciarono alla possibilità di essere rilasciati rifiutandosi
di aderire al regime e nelle «isole del diavolo» edificarono l’«università del dissenso
». In quei luoghi, dove dovevano essere separati e isolati dal resto della nazione, perché
non potessero «infettarla» con le loro idee, gli antifascisti ritrovarono la consapevolezza
del loro ruolo politico. Gramsci, Pertini, Amendola, i fratelli Rosselli, Spinelli, Terracini,
Rossi, Bauer, solo per citare i più famosi, durante il confino, studiarono, elaborarono progetti
politici, produssero documenti, si confrontarono e iniziarono a pensare e a costruire
un’altra Italia e un’altra Europa dopo il nazifascismo.
Ci auguriamo che, anche grazie a questo prezioso contributo, le istituzioni pubbliche
salvaguardino i segni della memoria presenti in quei luoghi e che la storia vissuta al
confino possa diventare un patrimonio collettivo.

Costantino Di Sante