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Comuni e nuove tecnologie tra ‘800 e ‘900, “Amministrare, rivista quadrimestrale dell’Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica” – 2000

AA.VV.
n. 3, a. XXX

Anno di pubblicazione: 2000

Sei saggi compongono questo numero speciale. In Comuni e nuove tecnologie. Le macchine da scrivere e il telefono tra ‘800 e ‘900, che è anche una sorta di introduzione al fascicolo, il curatore Fabio Rugge espone l’intento che ha mosso la ricerca: studiare l’innovazione nell’amministrazione partendo dal luogo e dai settori (le nuove tecnologie legate ai servizi) dove più consapevolmente si manifesta agli inizi del secolo. La tesi è che i Comuni, e non lo Stato, furono veicoli di innovazione, protagonisti specie nel quindicennio che precede la prima guerra mondiale di una sorta di “rivoluzione culturale”. Le nuove élites urbane (ingegneri municipali, tecnici dei servizi, urbanisti, dirigenti delle prime municipalizzate) ne sarebbero state l’avanguardia cosciente, sebbene alla lunga sfortunata.
Telefono e macchina dattilografica sono come simboli della modernizzazione: Rugge analizza la prima legislazione sui telefoni e l’alternativa iniziale tra gestione municipale delle linee e telefonia di Stato e si sofferma con notazioni acute sulla diffusione della dattilografia nei Comuni. Il fenomeno si estende su scala europea con una logica “reticolare”: tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del nuovo secolo sarebbe anzi possibile delineare una “cronologia dell’innovazione” nella quale i Comuni rappresenterebbero i battistrada. I saggi successivi introducono interessanti specificazioni alla tesi. Giovanni Guidi (Il caso di Bologna) e Marco Soresina (Il caso di Milano) offrono due verifiche dagli spiccati contorni peculiari. Francesco Soddu (Il caso di Roma, non solo su telefoni e macchine da scrivere ma anche sui macchinari da calcolo e su un interessante esperimento di rete telegrafica locale) mette piuttosto in evidenza la forte specificità della capitale, specialmente per il benefico “contagio” che vi si realizza tra l’amministrazione locale e gli apparati dello Stato centrale. Mariapia Bigaran (Il caso di Trento) e Valentina Deffendi (Il caso di Treviso) colgono con acutezza i caratteri di due situazioni per tanti versi “di confine”. I saggi, tutti basati su fonti archivistiche (si conferma una volta di più la ricchezza ancora largamente inesplorata degli archivi municipali), aggiungono molti elementi nuovi a quanto già si sapeva sulla storia dei Comuni tra Otto e Novecento. Nella ricerca concreta, per altro, si stemperano di molto certe rigidità pregiudiziali della tesi di partenza: i Comuni non rappresentano il luogo esclusivo dell’innovazione e le élites municipali non si contrappongano dappertutto alle burocrazie ministeriali. Semmai si assiste in quegli anni ad un continuo mescolarsi di piani: l’amministrazione postale-telegrafica (statale) rappresenta ad esempio un fertile laboratorio di innovazione almeno quanto lo sono alcuni grandi Comuni; e gli uomini più aperti al nuovo negli apparati dello Stato centrale partecipano della stessa élite nella quale militano i grandi tecnici dei municipi.

Guido Melis