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Credere, obbedire, convincere. Propaganda e comunicazione 1943-1945 – 2003

Aa.Vv.
Milano, M&B Publishing, pp. 117, euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2003

Prima di entrare nel merito del volume s’impone una piccola annotazione a proposito del titolo: se molto azzeccata è la figura retorica che, sostituendo l’ultimo termine del famoso motto, contribuisce a rendere immediatamente chiaro l’argomento (il ruolo dell’azione di propaganda negli anni della RSI), meno felice appare la scelta di associare il concetto di propaganda a quello di comunicazione politica. Infatti, non occorre scomodare Arendt e Habermas per notare come la stessa dimensione ?dialogica? e ?competitiva? (nel senso, anche, di parità di capacità di diffusione delle proprie idee) della comunicazione politica ne limiti ampiamente le possibilità durante le guerre. E ciò vale soprattutto per un periodo così intenso, radicale e ?incondizionato? come fu il biennio 1943-45. Probabilmente l’uso del solo lemma propaganda sarebbe stato più opportuno.
Si tratta ? si badi bene ? di una considerazione che nulla vuole togliere alla validità e all’utilità di questo bel repertorio di manifesti, volantini e cartoline di guerra; un catalogo che riunisce materiali provenienti dalla Fondazione Kuliscioff di Milano e si avvale, oltre che di un’utile cronologia degli avvenimenti, di un bel saggio storico di Walter Morossi. A proposito di questo ultimo, è doveroso sottolineare come l’autore, nonostante l’inevitabile ristrettezza di spazi concessa da tale tipo di prodotto editoriale, abbia saputo ben articolare gli argomenti e gli angoli di visuale che il tema offre. Convincente, in particolare, mi pare la scelta di suddividere i paragrafi a seconda del tipo di medium (riviste destinate alle truppe; grande stampa dal pubblico vasto e non necessariamente ?fascista?; radio e cinema; manifesti) poiché tale decisione permette di cogliere bene due elementi: da una parte, come i messaggi, a seconda del tipo di ?mezzo? utilizzato, non possano che essere differenti; dall’altra, come il linguaggio propagandistico spesso abbia la forza di imporsi ? ?di per sé?, specie quando trova ampia diffusione e consenso presso il pubblico ? sulla stessa volontà degli specialisti produttori di senso. Da questo punto di vista significativa è l’annotazione dell’autore a proposito della fortuna dell’immagine propagandistica dell’ebreo (connotato ora dalla pinguedine, dai baffi e dal profilo slavo, ora dai capelli corvini e dal naso adunco, ora dall’abbigliamento in ghette e bombetta). Un successo dell’immagine veicolata dai mezzi di comunicazione ? in primis, dai manifesti ? che non poco contribuì al fallimento e alla scarsa diffusione del discorso conciliatore portato avanti dalla rivista di Gentile. In sostanza, nonostante qualche altro punto non sempre condivisibile, che meriterebbe un seguito di discussione ? in particolare, quando l’autore giudica inefficaci perché trasmessi con strumenti ?arcaici? (come, per esempio, il lancio di volantini da aerei) o attraverso codici stilistici antiquati (come l’uso di un linguaggio retorico-burocratico di sapore ottocentesco) i messaggi della propaganda fascista ?, il volume costituisce un ottimo esempio di prodotto editoriale capace di fare coesistere il prevalente corredo iconografico con un adeguato commento storiografico. Cosa importante e, certamente, non troppo usuale.

Andrea Baravelli