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Marketing modernity. Italian advertising from fascism to postmodernity – 2003

Adam Arvidsson
London, Routledge, pp. 192, £ 60,00

Anno di pubblicazione: 2003

Questo studio rappresenta un passo in avanti rispetto alle varie storie della pubblicità attualmente a disposizione del lettore italiano. Filosofie e tecniche della pubblicità vengono infatti indagate nel contesto della costruzione della società dei consumi in Italia, nei suoi risvolti materiali e simbolici, in un percorso che mostra peculiarità e parallelismi rispetto ad altri paesi.
Il punto di partenza di Arvidsson è la contraddittoria esperienza del periodo fascista, quando il tentativo del regime di sorvegliare la dinamica culturale messa in moto dalla crescita dei consumi, al fine di veicolare valori fascisti e nazionali nel suo orizzonte simbolico, dovette scontrarsi con le forti debolezze del mercato italiano, più assimilabile a quello dei paesi dell’Europa meridionale e balcanica che ai paesi del Nord Europa. A godere di un qualche rinnovamento dei consumi era soltanto una classe media ristretta, il cui atteggiamento verso la cultura nazionale era peraltro ?disturbato? dalle seduzioni dello stile di vita americano, conosciuto attraverso il cinema hollywoodiano e i rotocalchi che conoscono una discreta diffusione. L’influenza degli Stati Uniti, peraltro, ebbe effetti chiaramente percepibili sulla formazione dei pubblicitari italiani; le agenzie aperte negli anni ’30 erano animate da personaggi fortemente legati agli USA e ad un’?antropologia del consumo? che esaltava il valore individualistico della scelta nella costruzione del sé, un approccio poco compatibile con il fascismo e che negli anni ’30 convive, con qualche ambiguità e opportunismo, con le ambizioni dello Stato corporativo, avendo modo di esercitarsi con grande successo nel contesto della costruzione di una società dei consumi e del mercato atlantico nel secondo dopoguerra.
Nell’Italia del miracolo economico, quando un sensibile incremento dei consumi di massa diventa una realtà, i pubblicitari si muovono ancora sulle tracce degli approcci elaborati negli Stati Uniti, ma assumono progressivamente una certa autonomia di pensiero che nasce dalla conoscenza delle peculiarità della società italiana. La pubblicità si inserisce allora nei processi di trasformazione della società legando i prodotti ad un’immagine che asseconda il cambiamento degli assetti di potere; in particolare l’enfasi individualistica che veicola immagini di emancipazione viene utilizzata per la promozione dei consumi femminili, come dimostra l’esperienza di Alberoni alla Bassetti e l’elaborazione teorica che l’accompagna.
Già negli anni ’60, insomma, le culture del consumo, e le immagini pubblicitarie che le interpretano e le promuovono, diventano un elemento di dinamismo della società italiana che coinvolge soprattutto i soggetti in precedenza sottoposti agli stretti vincoli della società patriarcale, come le donne e i giovani. Arvidsson vede perciò una forte continuità tra quel decennio e gli anni ’80, quando le culture del consumo ricevono nuova linfa dall’espansione del sistema dei media, in particolare della tv commerciale. Le culture del consumo a questo punto sono frantumate in stili differenti che prospettano molteplici opportunità di identificazione, interagendo e assecondando una frammentazione sociale che fornisce maggiori opportunità di soggettivizzazione.

Paolo Capuzzo