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Agostino Bistarelli – La storia del ritorno. I reduci italiani del secondo dopoguerra – 2007

Agostino Bistarelli
Torino, Bollati Boringhieri, 269 pp., Euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2007

Ci sono tre fasi nella storia di un reduce. Prima la guerra, perché, come scrive Bistarelli esiste «un nesso tra il modo di essere stati nella guerra e il successivo comportamento da reduci» (p. 11). Nessuna uscita dalla guerra ha mai presentato una tale varietà di vicende e contraddizioni come l’Italia post-1945, i milioni di soldati che non erano mai usciti dal territorio nazionale senza correre rischi maggiori dei civili, quelli che avevano davvero combattuto per l’esercito o come partigiani, oltre 1.200.000 reduci da prigionie diverse e con forti lacerazioni interne, anche i reduci di Salò. Vicende che Bistarelli presenta e riassume, ma non può approfondire, perché il suo tema è la seconda fase nella storia del reduce, il ritorno. Dove i reduci che rivendicano la loro sofferta fedeltà a ideali sia vincenti, sia perdenti non ottengono attenzione, vengono buttati nel mucchio. È significativo, nota Bistarelli, che il reduce più noto sia il protagonista di Napoli milionaria che Eduardo De Filippo mette in scena nel marzo 1945: il prototipo del reduce sconfitto e rassegnato era già consacrato quando gran parte dei reduci (e tutti quelli che avevano fatto scelte politiche) dovevano ancora ritornare. Giustamente Bistarelli ricorda il «rapporto non risolto tra la società italiana e la guerra fascista» (p. 24).La seconda fase è il tema principale del volume, il ritorno e il reinserimento dei reduci, un tema piuttosto dimenticato e finalmente trattato in modo adeguato. La scelta di fondo dei governi di Parri e De Gasperi fu di non privilegiare i reduci come categoria, ma di concedere loro la stessa assistenza riservata alle vittime civili del conflitto. Torniamo alla difficoltà di fare i conti con la guerra fascista con l’opzione di azzerare le diverse scelte dei reduci, salvo quelli di Salò, ma comprese quelle delle tante prigionie. I reduci come massa promiscua, cui concedere parchi benefici e riconoscimenti morali generici, non un esame delle loro vicende, come del resto avveniva per i molti rami dell’amministrazione pubblica. Dinamiche che Bistarelli documenta ampiamente, con la successione dei provvedimenti e il forte ruolo lasciato alla Chiesa cattolica nella gestione dell’assistenza.La terza fase nella storia dei reduci è la loro memoria. Bistarelli traccia, credo per la prima volta, un panorama delle molte associazioni di reduci nate nel dopoguerra, quelle partigiane e l’ANA con una base di massa e un peso politico, le tante di taglio tradizionale, patriottico e anticomunista di poco successo, spesso tenute in piedi dalle sovvenzioni ministeriali. Bistarelli è però troppo buono, forse perché la sua attenzione si ferma ai primi anni della Repubblica. Bisogna pur riconoscere che queste associazioni (con le debite differenze) hanno continuato a coltivare un culto statico della memoria, non la sua ricerca e documentazione. Le ricerche vitali vengono da altra parte, singoli reduci impegnati o gli istituti per la storia della Resistenza.

Giorgio Rochat