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Alberto De Bernardi – Discorso sull’antifascismo – 2007

Alberto De Bernardi
a cura di Andrea Rapini, Milano, Bruno Mondadori, 233 pp., Euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2007

Nella discussione sullo statuto etico-politico dell’antifascismo De Bernardi si è segnalato già in passato per una posizione peculiare: per nulla indulgente verso il proposito di espungere l’antifascismo dal corpus dei valori della democrazia contemporanea, si è però mostrato non meno reattivo a quei discorsi che, nell’opporsi alla vague post-antifascista, gli parevano scansare il dovere scientifico di sottoporre a un radicale riesame l’esperienza storica dell’antifascismo fra le due guerre e la lettura che la cultura antifascista ne ha successivamente proposto. Proprio l’esigenza di una tale revisione è il filo conduttore del libro-conversazione con Andrea Rapini, che appare così come un abbozzo di quella che potrebbe dirsi, per distinguerla dalla polemica anti-antifascista, una critica antifascista dell’antifascismo.La tesi di fondo è che l’antifascismo «si è configurato come il campo intellettuale, morale e politico all’interno del quale si venne costruendo il più grande sforzo di ridefinizione della democrazia in Europa» (p. 166), basato sulla riprogettazione della cittadinanza e sulla contaminazione «tra Stato di diritto e liberazione del lavoro» (p. 113): ma non si trattò di un processo lineare, perché, considerato nella sua dimensione italiana, l’antifascismo stentò ad assumere quella prospettiva, mentre la democrazia europea a lungo coltivò la speranza di una «coesistenza pacifica» con il fascismo; inoltre, date le concezioni comuniste in tema di democrazia, nell’antifascismo «erano iscritti potenzialmente sia il destino democratico dell’Europa occidentale sia la soluzione autoritaria delle democrazie popolari» (p. 165). Nel suo excursus De Bernardi si ferma soprattutto sui ritardi intellettuali, sulle incongruenze politiche, sull’incompiutezza democratica delle correnti antifasciste. Per quanto riguarda gli oppositori italiani del fascismo insiste sulle conseguenze negative della loro incomprensione della natura del regime e della crisi della democrazia europea: la nostalgia dello Stato liberale, il primato assegnato alla rigenerazione morale o l’invocazione del comunismo come sola alternativa al fascismo, che a lungo occuparono l’orizzonte degli antifascisti, indicano come questi, ognuno per vizi propri, abbiano tardato a portarsi sul piano della riqualificazione della democrazia. Esiziale fu soprattutto la dissociazione tra antifascismo e antitotalitarismo, che impedì al primo di risolversi senza residui in un’affermazione di democrazia. Proprio in ragione dell’ipoteca costituita dal mito della dittatura proletaria, l’apporto comunista alla costruzione del progetto antifascista fu, per De Bernardi, pressoché nullo, e fino alla Resistenza ci fu, a rigore, sostanziale estraneità tra comunismo e antifascismo.La tesi di Furet sulla filiazione dell’antifascismo dall’universo comunista è così rovesciata. Si resta però con l’impressione che una certa idea di ciò che l’antifascismo avrebbe dovuto essere e che solo post festum riuscì ad essere, e nemmeno compiutamente – una nuova e più larga democrazia -, si sovrapponga al concreto svolgimento storico dell’antifascismo, con tutte le aporie, le contraddizioni e le mutazioni della sua materialissima realtà.

Leonardo Rapone