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Alberto M. Banti – La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita – 2000

Alberto M. Banti
Einaudi, Torino

Anno di pubblicazione: 2000

Banti si prefigge un fine assai originale, quasi del tutto ignorato dagli storici: ricostruire i modelli ideali e culturali in base ai quali, dall’ultimo decennio del ‘700 e fino all’Unità, “molti” italiani, per lo più “giovani” (“il Risorgimento è un fenomeno generazionale”, p. 33), di realtà diverse e lontane (politicamente, storicamente, economicamente), finirono per accogliere con grande entusiasmo “l’idea dell’effettiva esistenza di un soggetto – la nazione italiana”, tanto da “agire pericolosamente in suo nome, rischiando l’esilio, la prigione, la vita” (p. 30).
L’autore, rilevato che dai primi anni dell’800 “il tema della nazione […] si proiettò nello spazio della produzione poetica, narrativa, melodrammatica o pittorica” (p. 29), definisce ciò che chiama il “canone risorgimentale” (il complesso di opere che più contribuirono, nell’esperienza dei patrioti, “a fondare l’idea di nazione italiana”), di cui prima, a mo’ di Leporello, ci offre un sintetico e significativo catalogo di titoli (pp. 45-6) e, poi, si preoccupa di individuare i caratteri essenziali e la filosofia sottesa. La nazione italiana che i testi del “canone” infine trasmettono è una “comunità naturale, fatta di legami parentali e di patrimonio territoriale, un retaggio che le appartiene da tempi immemorabili” (p. 73). Il “risveglio eroico della nazione”, ché in ciò si traduce il Risorgimento (pp. 61 e ss.), è possibile per l’azione congiunta di eroi, vergini e traditori (pp. 93 e ss.): un agire che, riverberato nel profondo da valori simbolici religiosi (pp. 119 e ss.), ha per primo scopo la riconquista del comune onore perduto (“c’è un rapporto di causa-effetto tra il riscatto dell’onta subita e la rivincita nazionale”, p. 139). Accertati i caratteri essenziali del “canone risorgimentale” nell’ultimo capitolo Banti ne verifica la ricezione, con un’ampia scelta di testi memorialistici e carteggi e conclude che la “forza comunicativa delle immagini” fu tale “che chi aveva incontrato la nazione nei libri dell’uno o dell’altro tra gli autori ‘canonici’ […] l’aveva accolta senza troppe resistenze” (p. 199).
La costruzione del “canone risorgimentale” lascia non pochi dubbi: perché intenderlo quale elemento propositivo di modelli ideologici e culturali e non (invece o anche) espressione e interprete d’un sentire comune presente nelle giovani generazioni? Per fenomeni culturali tanto storicamente incisivi nel loro formarsi, ritengo indispensabile inserire (o, almeno, confrontare) un simile processo in quello più generale che investe le generazioni attive in Europa (da cui anche la tensione al riscatto nazionale altrui). E mi pare necessario periodizzare di più e meglio lo sviluppo del “canone” (non si possono assimilare opere degli anni ’20 a quelle dei ’30-40), distinguerne le componenti (testi letterari, drammatici, melodrammi sono diversi sul piano intrinseco e della fruizione). Discorso difficile e complesso cui è auspicabile tornare. A Banti il merito di averlo avviato e di averne sottolineato l’importanza.

Filippo Mazzonis