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Alessandro Schiavi – Diari e note sparse (1894-1964), a cura di Carlo De Maria e Dino Mengozzi – 2004

Alessandro Schiavi
Manduria (Ta), Lacaita, pp. 348, euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2004

La pubblicazione di questi diari costituisce, insieme agli Inventari delle carte e biblioteca Schiavi e ai due volumi dei Carteggi (1892-1926 e 1927-1965), un lavoro esemplare, reso possibile dalla Fondazione Turati e dalla disponibilità del ricco archivio di Schiavi, distribuito fra l’Archivio di Stato e la Biblioteca comunale di Forlì. L’esiguità dello spazio impone di scegliere se segnalare con maggiore ampiezza la ricchezza delle introduzioni e delle note o l’interesse intrinseco dei testi. Scelgo la seconda possibilità, non senza segnalare che solo le note sempre puntuali rendono possibile al lettore non specialista la comprensione del ricchissimo materiale di Schiavi. Esso riassume molti aspetti della complessità e delle debolezze, ma anche della straordinaria conoscenza della realtà sociale espresse dalla tradizione socialista italiana.
Schiavi, romagnolo, di famiglia borghese e di formazione giuridica, aderì al Partito Socialista in gioventù, partecipando nel 1896 al congresso londinese dell’Internazionale Operaia. Dopo un decennio trascorso alla redazione dell’«Avanti!» a Roma, si trasferì a Milano nel 1905 come segretario dell’Umanitaria e qui fece le esperienze più importanti al servizio del movimento operaio. In quegli anni aderire al socialismo per un giovane borghese di belle speranze significava entrare in un movimento di massa, ma anche fare una scelta di vita di estrema radicalità rispetto al proprio ambiente. Nel diario troviamo le molteplici componenti di questa scelta e l’impasto di quel singolare ?marxismo? che gli uomini della generazione e della formazione di Schiavi credettero li distinguesse dalla teoria e dalla pratica del movimento comunista: elementi di filantropismo (rivelati da espressioni come ?la povera gente? per indicare l’elettorato dei Comuni socialisti), attenzione per le esperienze organizzative dei paesi più avanzati dal punto di vista economico, capacità di contribuire allo sviluppo dell’organizzazione proletaria con gli strumenti dell’inchiesta e della ricostruzione storica. La contradittorietà dei punti di vista degli uomini come Schiavi è però anche una ricchezza che rende meno rigida, se guardata nella lunga durata di un’esperienza organizzativa, la distinzione fra riformismo e massimalismo. La fiducia ?marxista? nella necessità del socialismo a partire dallo sviluppo economico, la dedizione alla formazione di una cultura che renda possibile un’autorganizzazione e direzione politica ancora non raggiunte dalla classe operaia, costituiscono il contenuto di un riformismo ?dal basso? che la tradizione socialista ha consegnato ai protagonisti della sinistra del Novecento, nella diversità delle scelte organizzative. Molte pagine del diario consentono anche di lanciare uno sguardo su quel mondo di vecchi militanti e organizzatori che non si erano lasciati assorbire dal consenso fascista pur senza alimentare ? anche per ragioni generazionali ? le organizzazioni clandestine degli anni Trenta. Lo Schiavi di quegli anni rivela comunque una capacità di ascolto delle trasformazioni della mentalità e dell’emergere di un dissenso attivo proletario e popolare. Una lettura interessante per gli storici ma anche appassionante e commovente.

Maria Grazia Meriggi