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Alessio Gagliardi – Il corporativismo fascista – 2010

Alessio Gagliardi
Roma-Bari, Laterza, 193 pp., Euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2010

L’obiettivo del libro è di fornire un’agile sintesi su un argomento reso complesso dalla sterminata bibliografia, dalla varietà dei soggetti coinvolti e dalla pluralità delle interpretazioni storico-disciplinari. Diciamo subito che la sfida si può dire riuscita, grazie anche alla scelta di fare ruotare l’opera attorno alla verifica della tesi, originariamente avanzata dall’antifascismo in esilio, della mancata corrispondenza tra teoria e fatti, tra intensità del dibattito culturale e povertà delle realizzazioni di un corporativismo che deluse soprattutto i suoi fautori. Pur condividendo il giudizio finale, l’a. concentra l’analisi sull’effettivo funzionamento degli istituti corporativi. Un aspetto che, a differenza della dimensione ideologica e culturale del corporativismo come «terza via» (con le sue varianti Rocco, Bottai e Spirito – oggetto del I capitolo), o del lungo processo che porta alla disciplina autoritaria dei rapporti di lavoro (oggetto del II capitolo), è stato, a parere dell’a., troppo sottovalutato dalla storiografia. Con la nascita del Consiglio nazionale delle corporazioni (1930) si avvia la vera e propria fase «corporativa» (oggetto del III capitolo) e si arriva al cuore dell’argomentazione. A parere dell’a., il Consiglio, il Comitato corporativo centrale ma soprattutto le sezioni, pur non avendo alcun potere normativo, costituirono «la sede di un confronto continuativo tra le organizzazioni dei datori di lavoro e quelle dei lavoratori del settore interessato» (p. 85), favorendo la mediazione del Ministero delle Corporazioni (appoggiato dai sindacati) su temi cruciali (negli anni ’30, come nei ’40), quali i consorzi obbligatori o l’ autorizzazione per nuovi impianti. Che cosa cambia quando, nel ’34, le corporazioni entrano in funzione (IV capitolo)? Anche qui l’attenzione è rivolta alle trasformazioni cui andarono incontro all’interno delle procedure corporative le relazioni tra interessi socioeconomici. Con la svolta autarchica gli interessi sono chiamati a elaborare il piano per i singoli settori, e l’utilità delle corporazioni come sede di confronto o di reciproca informazione si conferma anche nei casi, quello siderurgico e quello del credito, sui cui esistono fonti e storiografia. Emerge anche come il sindacalismo fascista, di fronte alla crisi economica mondiale, sposti il suo orizzonte strategico dai rapporti di lavoro a un intervento esteso in materia di politiche sociali e legislazione del lavoro, prefigurando una dimensione destinata a durare dopo la fine del fascismo. Sempre osservando i riflessi del funzionamento delle corporazioni l’a. può constatare infine come, pure in una fase (con la Confindustria presieduta da Volpi) di grande forza contrattuale, gli industriali ricorressero al canale corporativo per esercitare pressioni sul governo o per limitare le temute svolte dirigiste del ministero. «Gli interessi sociali venivano così subordinati allo Stato e, al tempo stesso, acquistavano, almeno in via teorica, una dimensione istituzionale e politica che in precedenza non avevano raggiunto» (pp. 158-159), conclude l’a., a conferma del trend comune alle società europee tra le due guerre: contrattazione tra gruppi di interesse organizzati nel quadro di un nuovo assetto dei rapporti tra potere pubblico e potere privato (C.S. Maier).

Mariuccia Salvati