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Alfred Wahl – La seconda vita del nazismo nella Germania del dopoguerra – 2007

Alfred Wahl
Torino, Lindau, 445 pp., Euro 26,00 (ed. or. Paris, 2006)

Anno di pubblicazione: 2007

Uscito nel 2006 in francese e immediatamente pubblicato in edizione italiana, senza note, ma con un piccolo glossario dei termini tedeschi per risparmiare al lettore la fatica dell’uso del dizionario, il libro di Alfred Wahl è una lunga riflessione sugli atteggiamenti dell’opinione pubblica e delle istituzioni statali verso gli ex nazisti. Buona parte del libro ripercorre le piste già battute da Norbert Frei, con l’intenzione di allargare l’analisi da alcune categorie specifiche alla intera società. Un passato che non passa è il Leitmotiv di questa sorta di lungo pamphlet. Un passato che non passa perchè non vi è stata una vera epurazione dei nazisti nei principali corpi dello Stato, nei vari settori economici e professionali, e addirittura nei partiti e nella politica in genere; il motivo ricorrente si riferisce contemporaneamente al successivo rifiuto, nella opinione pubblica, del silenzio sulle responsabilità della società tedesca. Sono note le ragioni che resero impervio un processo di denazificazione postbellico. La volontà, più volte richiamata dall’a., delle forze politiche tanto americane che tedesche di restituire alla Germania un ruolo politico e militare strategico in Europa si scontrava con ogni prospettiva di una profonda epurazione. Questo inevitabilmente, come è noto, restituiva a tutta la vecchia classe dirigente la leadership di una Germania ormai proiettata a diventare la locomotiva economica e politica della allora Comunità europea. In questo quadro il riarmo della Germania, culminato con il suo ingresso nella NATO era un vero e proprio colpo di spugna su tutte le responsabilità delle Wermacht, ma anche delle SS. Le principali cause dell’impunità concessa alla vecchia classe dirigente, passata indenne, e talvolta addirittura rafforzata, attraverso le politiche di Entnazifizierung della seconda metà degli anni ’40, sono, secondo Wahl, di Adenauer e di una magistratura composta in larga parte di giudici attivi negli anni del Terzo Reich. Molto, però, aveva pesato nella vicenda tedesca postbellica un generale atteggiamento autoassolutorio della popolazione, la opposizione alla politica alleata di una popolazione completamente schierata a favore dei nazisti con «la solidarietà degli occupati contro gli occupanti» (p. 172). Se «il mantenimento al suo posto del personale nazista ebbe una portata notevole» (p. 272), è altrettanto vero che questa consegna del silenzio si andò progressivamente marginalizzando e poi sgretolandosi. Passaggi cruciali di questo processo furono certo gli ultimi anni ’60, con la maturazione di una gioventù non più disposta ad accollarsi le colpe dei padri e poi il crollo del Muro di Berlino, il processo di unificazione, la ricerca di un disegno identitario. La storia, però, rimane sempre presente: i tedeschi «non possono sbarazzarsi di un senso di colpa, se non addirittura di vergogna» (p. 438), in cui permane però la tentazione di cercare nella nuova, ma non troppo, attenzione per la sorte dei profughi e dei tedeschi espulsi, per le vittime dei bombardamenti una sorta di relativizzazione del peso dell’olocausto»; ma tutto questo però è solo giornalismo.

Giovanni Montroni