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Alfredo Gigliobianco – Via Nazionale. Banca d’Italia e classe dirigente. Cento anni di storia – 2006

Alfredo Gigliobianco
Roma, Donzelli, 404 pp., euro 27,50

Anno di pubblicazione: 2006

Non saprei se, specie negli ultimi anni, qualcuno abbia paragonato la Banca d’Italia ad una sorta di (impropria) École Nationale d’Administration. Non lo ricordo, ma mi sorprenderei se fossi il primo a scriverlo. Il travaso, dapprima di un direttore generale (Lamberto Dini) e poi di un governatore (Carlo Azeglio Ciampi), da via Nazionale ai vertici istituzionali del potere politico ha solo rappresentato la conferma (si pensi a Einaudi, Menichella e Carli, nei trent’anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale) della straordinaria qualità del personale che ha svolto mansioni di rilievo nella banca centrale. E non si parla di qualità tecniche, professionali, da banchiere centrale: si intendono le doti di grands commis d’État che dapprima sono al servizio dello Stato e poi si fanno addirittura Stato. A lungo si è discusso, in questi anni, se questa sorta di «riserva della Repubblica» abbia assunto il ruolo di supplenza nei confronti del mondo politico per insipienza di quest’ultimo o se, al contrario, per una insospettabile ? e machiavellica ? lungimiranza della classe politica. D’altra parte, questa funzione di supplenza è stata anche attribuita al potere giudiziario, all’incirca negli stessi tempi e per gli stessi fini (accompagnare il paese nella difficile fase di transizione del dopo guerra fredda) e resta il dubbio che tale disponibilità a «cedere» per qualche tempo alcune funzioni e responsabilità non sia stata in qualche modo funzionale proprio alle esigenze delle élite politiche di conservare le principali prerogative in una fase turbolenta se non drammatica della storia del paese. Queste considerazioni si intrecciano con il volume di Gigliobianco. L’autore, pur con tanti distinguo e con tutte le cautele del caso, traccia una solida linea di continuità, lunga oltre un secolo, attraverso la quale i vertici dell’istituto centrale di emissione hanno posizionato le loro «truppe» (le loro idee, il loro modo di lavorare, i loro vincoli, solo all’apparenza tecnici) in partibus infidelium, nei territori della politica. Tecnocrati non avulsi dalla società, i banchieri centrali e i loro più immediati collaboratori, «hanno fatto l’Italia» non meno di altri interpreti di rilievo della storia di questo paese dell’ultimo secolo, contribuendo in maniera spesso decisiva alla determinazione delle scelte salienti in campo politico-economico e monetario e delle politiche industriali, quasi sempre ben al di là delle legittime prerogative funzionali ed istituzionali dei loro incarichi. L’autore è studioso puntiglioso e dimostra instancabile dedizione alla ricerca, ma riconosce, quasi per definizione, i limiti del proprio lavoro, dote ben più rara in certi ambienti. La virtù della modestia si intreccia con la civettuola sfida intellettuale, tutta figlia dello Zeitgeist che Gigliobianco ha respirato nel suo ambiente lavorativo, che lancia al lettore in un inusuale «consiglio per la lettura» che precede l’indice, quasi a garantirsi i dieci lettori che ciascuno merita. Non li perderà, avendoli invitati implicitamente ad attenersi ai diritti imprescindibili del lettore, così come li ha scanditi Daniel Pennac, tra i quali mi atterrò ora all’ultimo, quello di tacermi.

Luciano Segreto