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Alla ricerca della libertà. Vita di Aldo Garosci

Daniele Pipitone
Milano, FrancoAngeli, 374 pp., € 38,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il volume ricostruisce la vita e il pensiero di Aldo Garosci, in prevalenza noto quale «collaboratore, ammirato discepolo ed entusiasta biografo» (p. 61) di Carlo Rosselli, ma in realtà fine intellettuale formatosi alla scuola torinese e donatosi ben presto alla militanza politica tra le file di Giustizia e Libertà. Dotato di una indiscussa fede nel liberalismo – che scopre nell’ambiente di borghesia imprenditoriale familiare per abbracciarlo con consapevolezza negli anni universitari, grazie agli insegnamenti di Francesco Ruffini –, Garosci motiva la sua opposizione al fascismo primariamente con la difesa della libertà che caratterizza lo statuto della sua attività critica e di ricerca. Una identica pulsione informa il suo convinto e radicale anticomunismo, malgrado il consenso mostrato negli anni ’30 alla alleanza antifascista e il rapporto di collaborazione intrattenuto saltuariamente con i comunisti italiani fino alla rottura degli anni ’70, emblematicamente rappresentata dal passaggio giornalistico dalla rivista «Nuovi Argomenti» a «Il Giornale» di Indro Montanelli.
Il libro è diviso in due parti. Nella prima l’a. ripercorre gli anni di formazione di Garosci e il lungo periodo di «esilio»: dal 1932 a Parigi, dove emigra per evitare l’arresto a seguito della scoperta del gruppo clandestino cui appartiene; poi, dopo l’invasione tedesca della Francia, negli Stati Uniti, dove collabora con la «Mazzini Society» di Salvemini. Nella seconda parte l’attenzione è focalizzata sull’attività politica e giornalistica che l’intellettuale torinese svolge nel secondo dopoguerra, dopo essere rientrato nell’estate del 1943 e aver partecipato alla Resistenza; è in questi capitoli che l’a. valorizza maggiormente e con grande sapienza il materiale documentario di Garosci custodito presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea. Il Partito d’Azione è naturalmente il fulcro della narrazione, non solo perché costituisce il primo ambito in cui Garosci si trova a operare nell’Italia liberata, ma soprattutto in quanto la breve esperienza di quella formazione rappresenterà sempre nel suo ricordo «il momento perfetto di fusione tra pubblico e privato, di creazione di un gruppo combattente per un ideale comune, di massima realizzazione del suo concetto di militanza politica» (p. 350).
Convinto assertore della necessità di non disperdere il patrimonio culturale del socialismo liberale, Garosci tenta invano di evitare la confluenza del Pd’A nel Partito socialista di Nenni e successivamente l’abbraccio – che giudica mortale – con i comunisti. A partire dagli anni ’50, ormai lontano dalla politica attiva, Garosci svolge con passione l’attività giornalistica collaborando con diverse importanti testate (in particolare i periodici del movimento «Comunità» di Olivetti e «Il Mondo» di Pannunzio), prima di approdare, nel decennio successivo, all’insegnamento universitario, obiettivo professionale da sempre ambìto, che segna «il riconoscimento definitivo di una vocazione intellettuale che non aveva mai cessato di coltivare» (p. 276).

Carmelo Albanese