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All’ombra del proiettore. Il cinema per ragazzi nell’Italia del dopoguerra

Davide Boero
Macerata, eum, 426 pp., € 18,70

Anno di pubblicazione: 2013

Nel 1949 si inaugura a Venezia il primo Festival internazionale del film per ragazzi.
L’appuntamento, sulla scorta delle esperienze maturate all’estero, guarda a un genere allora
in embrione nonostante l’enorme platea interessata, che consuma piuttosto, al pari
degli adulti, film d’azione, western, commedie. Da qui prende le mosse l’a., per ricostruire
il fervido dibattito sul tema che si sviluppa nel ventennio successivo, animato da pedagogisti,
critici, cineasti, uomini delle istituzioni. Tra scrupoli moralistici, intenti educativi,
timori per gli effetti del cinema sulla psiche dei più giovani e radicate diffidenze nei
confronti del linguaggio iconico, prevale la ricerca, viziata da schematismi e ingenuità,
di elementi «adatti» a un ideale film per i ragazzi – il realismo, l’espunzione di immagini
disturbanti, la presenza di personaggi portatori di valori positivi, l’adozione di soluzioni
registiche che inducano opportune identificazioni – in cui passa in secondo piano l’unico
davvero stringente: l’efficacia spettacolare. Oltre a dare conto delle tante iniziative intraprese,
a delineare il ruolo della Chiesa, a ripercorrere la travagliata e deludente avventura
del film didattico, l’a. mette in luce lo iato tra la riflessione teorica, esuberante ma disorganica
e tale da rendere evanescenti i confini dell’argomento, e la più modesta messe di
pellicole italiane prodotte ad hoc, spesso scadente per qualità e resa pedante dalle zavorre
didascaliche. Non parliamo poi delle difficoltà distributive, cui poco ovvierà la legge del
1956 con il via libera agli aiuti finanziari. Più fortunata è la marcia delle pellicole d’importazione,
sulle quali peraltro si spendono pochi cenni. Ma intanto la tv, complice anche
la proposta organica e duttile studiata dalla Rai, ha scalzato il cinema nelle classifiche dei
consumi immateriali dei ragazzi, mentre paradossalmente è l’antica e nobile pratica del
teatro a prestarsi, nelle scuole, alla formazione degli alunni, e quella, altrettanto antica,
della lettura ad alta voce delle fiabe a trovare nuova vita nelle collezioni discografiche.
Il volume, inserito nella Biblioteca di History of Education & Children’s Literature da
poco avviata, ben documentato e ricco di informazioni, getta luce su un settore significativo,
per dimensioni e addentellati culturali, dell’industria del loisir e individua criticità e
contraddizioni proprie di tutte le politiche «di piano» quando operano su questo terreno
insidioso, incagliandosi una volta alle prese con i gusti e i bisogni, narrativi ed estetici,
reali. Più che gli orientamenti effettivi dei bambini, dunque, a emergere è uno spicchio
di storia della mentalità – quella degli adulti – nell’Italia del dopoguerra. L’immagine che
l’a. rimanda di questo coacervo di discussioni, speculazioni, progetti è al contempo caleidoscopica
ed omogenea: rimane solo parzialmente evaso l’interrogativo sulle sfumature e
sulle eventuali divergenze di vedute e sensibilità in un ventaglio di interventi che va dalla
destra ai comunisti passando per le diverse declinazioni del mondo cattolico e di quello
laico.

Irene Piazzoni