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Andrea Scartabellati – Intellettuali nel conflitto. Alienisti e patologie attraverso la Grande Guerra (1909-1921) – 2003

Andrea Scartabellati
Bagnaria Arsa (Ud), Edizioni Goliardiche, pp. 279, s.i.p.

Anno di pubblicazione: 2003

Un elemento di fondo circola nei saggi che costituiscono la ricerca di Andrea Scartabellati: quello che vede gli scienziati della mente e del comportamento, ovvero gli psichiatri e gli psicologi, come tecnici di un sapere specifico che si pone quale efficace strumento in appoggio del potere dominante per la creazione di un consenso sempre più ampio. Una contiguità, denuncia l’autore, che caratterizza tutta la psichiatria italiana già dal suo nascere, nella seconda metà dell’Ottocento, fino ai primi decenni del Novecento, passando attraverso le drammatiche prove del conflitto mondiale. Un nocciolo duro di positivismo, di organicismo antropologico permarrà sostanzialmente nella psichiatria fino quasi alle soglie del secondo conflitto, con un deciso rifiuto della psicoanalisi; il lombrosianesimo, poi, con la sua netta distinzione tra normalità e anormalità, fornirà gli strumenti concettuali per discriminare fra individui sani, forti, ben integrati nella società, portatori dei valori borghesi, e individui diversi, deboli, tarati, da emarginare e isolare nei manicomi o nelle carceri. Un’attività di discriminazione che farà la sua massiccia prova durante la Grande Guerra, quando gli psichiatri saranno chiamati a ?snidare l’anormale? dalle file dell’esercito, isolando appunto quegli individui che, per quelle che venivano ritenute innate debolezze e tare ereditarie, potevano costituire un sicuro danno per la compattezza, il morale e l’eroismo delle truppe combattenti.
Nel contesto bellico si aprirà anche una discussione sulla funzione patogena della guerra, sul suo essere agente specifico generatore oppure no di disturbi psichici, ma in genere prevarrà la tesi che essa è soltanto la causa scatenante di una condizione morbosa personale e preesistente all’evento.
Il volume di Scartabellati percorre quindi, con ricchezza di informazione e profondità di analisi, anche se talvolta con un linguaggio alquanto involuto, l’iter compiuto dai medici psichiatri italiani dal momento d’oro del positivismo fino alle incombenti teorie eugenetiche del periodo della dittatura fascista. Privilegiando comunque sempre l’aspetto somatico rispetto a quello psicologico, anche se quest’ultimo in qualche misura e attraverso poche voci ha potuto mostrare una sia pur debole presenza, gli psichiatri, tra cui si possono ricordare Morselli, Tanzi, Bianchi, Tamburini, Antonini, Lugaro, Ferrari e gli psichiatri militari Cazzamalli, Consiglio e, su un altro versante, Agostino Gemelli, hanno sempre coscientemente svolto il loro lavoro teso ad osservare, selezionare ed escludere il folle o il malato di mente in genere, sia dalla società civile che dalla società in armi, ?psichiatrizzando? il diverso e il nemico in tempo di guerra (Lugaro, ad esempio, descrive il popolo tedesco come un’orda barbarica e animalesca e Morselli denuncia la degenerazione fisica e morale dei due imperatori nemici dell’Italia), avendo come obiettivo una umanità biologicamente perfetta, in cui non ci può essere spazio per gli ?inutili alla vita?, e senza manifestare, salvo eccezioni, una qualsivoglia umana pietà per quei ?folli? rinchiusi a vita nei manicomi.

Giacomo L. Vaccarino