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Andrea Ungari – Un conservatore scomodo. Leo Longanesi dal fascismo alla Repubblica – 2007

Andrea Ungari
Firenze, Le Lettere, 111 pp., Euro 12,50

Anno di pubblicazione: 2007

Questo volumetto, dedicato all’attività di organizzatore di cultura e in senso lato politica di Leo Longanesi dal 1943 al 1949, consta di un’Introduzione e di tre capitoli. Nel primo, Fuga in Italia, lo vediamo nella Napoli occupata dagli Alleati dove è appunto fuggito dalla Roma occupata dai tedeschi. Intellettuale già fascistissimo, poi descritto con qualche esagerazione come frondista, non riesce a farsi accettare dagli antifascisti maturando una duratura antipatia nei loro confronti: non solo verso quelli di sinistra, ma anche verso i crociani. Tornato a Roma al seguito delle armate anglo-americane, continua a sentirsi estraneo alla «nuova società politica e intellettuale» del post-fascismo (p. 34) e decide di trasferirsi a Milano. Qui fonda la rivista «Il Libraio», cui è dedicato il secondo capitolo del saggio di Ungari. È questa la fase in cui ritrova il gusto della politica ponendosi a fiancheggiatore della DC degasperiana in quella che descrive come una lotta per la vita o per la morte contro il comunismo; ma che lo vede impegnatissimo nella polemica contro i tanti ex allievi del «Mondo» che si sono messi alla ricerca di una terza via antifascista, laica, non sempre e non pregiudizialmente anti-comunista. Li definisce «compagnia liberale da prendere a calci nel sedere» (p. 67). Questa persistente vena polemica contestatrice anti-antifascista lo porta a fondare la casa editrice che da lui prende il nome, cui è dedicato il terzo capitolo del lavoro che qui presentiamo.Come accade a molti di coloro che si impegnano a scrivere di un personaggio, anche Ungari tende a simpatizzare con lui. Ciò non gli impedisce di rilevarne il tratto umorale, la superficialità, la rancorosità. Probabilmente Ungari stesso non sarà d’accordo, ma a me sembra che dalle sue pagine esca ben chiara la narcisistica autocentratura di un intellettuale che era stato al centro dei reticoli cruciali di un regime dittatoriale, e che giudicò tutto partendo dalla sua personale marginalità rispetto ai circuiti del nuovo regime, finendo col dare un grande contributo alla banalizzazione e del presente e (ancor più) del passato. È vero d’altronde che, come Ungari rileva in conclusione del saggio, l’operazione si rivelò feconda, ponendo le basi per il salvataggio e lo sviluppo in età repubblicana di «un pensiero conservatore più o meno compromesso col fascismo» (p. 106).

Salvatore Lupo