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Angelo Del Boca – A un passo dalla forca – 2007

Angelo Del Boca
Milano, Baldini Castaldi Dalai, 291 pp., Euro 17,50

Anno di pubblicazione: 2007

«Conoscevo molto bene [?] attraverso i documenti dei nostri archivi le vicende di Mohamed Fekini e della sua famiglia [?] ma ciò che mi fece accettare con entusiasmo l’offerta del nipote dell’irriducibile guerriero, era la possibilità veramente unica di poter aggiungere alla già ricca documentazione italiana quella araba […]. Per la prima volta, a uno storico italiano, si prospettava l’occasione di studiare il pensiero, i sentimenti, le passioni, le aspirazioni degli ?altri”, e nello stesso tempo di mettere a confronto le due versioni dei fatti» (pp. 11-12). Così Angelo Del Boca, uno dei maggiori e più noti storici del colonialismo, introduce, nella Premessa al volume che recensiamo, la sua dettagliata ricostruzione delle vicende dell’occupazione italiana della Libia, condotta attraverso le memorie, le lettere, le fotografie dell’archivio personale di uno dei più tenaci combattenti e importanti notabili libici.Mohamed Fekini fu infatti uno dei maggiori protagonisti della guerra di resistenza contro il colonialismo già a partire dall’ottobre 1911, quando la flotta italiana attaccò la Tripoli ottomana, ma fu anche uomo politico di spicco fino al giorno della sua morte, ora corteggiato, ora aspramente avversato, sia dai rappresentati del governo coloniale che dai capi delle cabile libiche.Attraverso il suo consueto stile narrativo, quasi una cronaca, Del Boca ripercorre in queste pagine circa quaranta anni della maturità di Fekini, mettendo in luce non solo il suo impegno nella resistenza armata contro l’invasore ma anche, per esempio, il suo apprezzamento per il tentativo di mediazione dimostrato dagli italiani con la concessione degli Statuti nel 1919 (che, però, rimasero lettera morta), per arrivare alle difficoltà dell’era fascista con l’inaccettabile e spietata politica di riconquista, portata avanti da Badoglio e da Graziani, che lo portarono alla rovina e alla fuga, prima in Algeria e poi in Tunisia, luogo del suo esilio e della sua morte. Nel 1950 infatti, all’età di 92 anni, Fekini lascerà definitivamente i pochi familiari sopravvissuti alle battaglie, alla povertà, agli stenti patiti nel deserto, non senza essersi adoperato fino all’ultimo per la libertà e l’indipendenza della Libia, raggiunta appena un anno e mezzo prima.Rivolto al grande pubblico, il volume è di indubbia rilevanza per il suo contributo alla ricostruzione storiografica e, soprattutto, per l’intenzione di dare finalmente voce agli «altri» e al loro punto di vista; tuttavia il testo traccia un quadro del colonialismo che rimane prevalentemente incentrato sulle vicende militari e politiche in cui fu coinvolto Fekini, dalle quali non moltissimo traspare di quei pensieri e di quei sentimenti dei colonizzati che lo stesso Del Boca, nella Premessa, si era promesso di indagare. Ma proprio nelle memorie del personaggio «non c’è [?] molto spazio per i sentimenti, che non siano quelli legati al coraggio, alla nobiltà d’animo, al disprezzo per chi tradisce o per chi non mantiene la parola» (p. 214). Peccato.

Giulietta Stefani