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Anna Di Giovanni – Giudecca Ottocento. Le trasformazioni di un’isola nella prima età industriale – 2009

Anna Di Giovanni
Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 200 pp., Euro 35,00

Anno di pubblicazione: 2009

Il saggio consente di retrodatare la vocazione produttiva di Venezia rispetto alla conclamata fase industriale novecentesca – si pensi alla realizzazione di Porto Marghera in epoca fascista – e riveste un forte valore metodologico. Poggia infatti su un certosino lavoro di incrocio di dati basato sulla serie storica dei catasti (napoleonico 1808-11, austriaco 1841 e austro-italiano 1846-1929) che giunge a ricostruire nel dettaglio le vicende degli immobili della Giudecca: datazioni, passaggi proprietari, cambiamenti di destinazione d’uso. All’indagine sistematica di tipo censitario l’a. affianca l’osservazione dell’iconografia storica. La sintesi tra i dati particellari e l’evoluzione visiva dei luoghi nel tempo delinea il radicale sovvertimento dell’originario luogo di delizie rinascimentale, punteggiato di orti e chiostri monastici, conventi e palazzi della nobiltà locale, in cui penetrano via via nel corso dell’800 piccole manifatture artigianali, fino al costituirsi di una moderna realtà produttiva. Se il tessuto frazionato delle prime attività (pelletterie, corderie, fornaci da calce e mattoni) tende ad aggregarsi in un reticolo a maglie larghe plasmato da nuovi comparti (la meccanica di precisione, maglifici e molini a cilindri, cantieri navali) è per l’effetto indiretto di fattori come il portofranco napoleonico sulla vicina S. Giorgio o la libertà d’intrapresa concessa agli ebrei dal 1818. Turning-point simbolico ma decisivo, nel descritto salto di scala, è poi la breve parentesi di Salomon Rothschild alla Giudecca, intorno al 1847 (Venezia, baricentrica tra l’Austria, l’Adriatico e le cave di bitume in Dalmazia e Istria, viene da questi individuata come avamposto industriale funzionale al suo grande progetto per la ferrovia Ferdinandea). Dalla fine del secolo, sulla scia del grande banchiere viennese, approderà sull’isola una nuova genia di capitalisti internazionali (Junghans, Herion, Stucky, Neville) e/o contigui alla politica (Volpi e Papadopoli) capaci di integrare la produzione in un quadro diversificato di investimenti: non per ultimo gli interventi in un campo emergente come l’edilizia popolare, sostenuto da amministrazioni locali attente alle condizioni di vita del proletariato urbano (e di nuovo l’a. riesce a mappare lo stato esatto del degrado comparando i dati sull’abitabilità delle inchieste Fornoni 1873 e Vivante 1935).Il saggio dimostra la ricchezza e l’interesse di una «periferia interna», dotata di forte dinamicità nelle forme fisiche e del tessuto sociale, per rapporto viceversa ad un contesto cristallizzato come quello veneziano storico. E consente di verificare ancora una volta, alla distanza, nell’articolazione minuta di un caso concreto, alcune coordinate a suo tempo fissate, in una fase ancora inaugurale degli studi, da Roberto Gabetti e Carlo Olmo sui fattori di discontinuità e ricorrenza che hanno plasmato in modo peculiare il paesaggio industriale italiano (inaspettate «sinergie» agricolo-industriali che premiano alcune localizzazioni e non altre, l’incessante lavorio di riuso delle strutture esistenti, ecc.).

Michela Morgante