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Anna Maria Fiorentin – Terra addio. L’esodo dalla Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia raccontato ai giovani – 2003

Anna Maria Fiorentin
Pisa, Edizioni ETS, pp. 157, euro 13,00

Anno di pubblicazione: 2003

Raccontare l’esodo ai giovani, a quella generazione nata e cresciuta in Italia che si sente, al di là delle speranze dei nonni, più lombarda o pugliese che giuliana. Eppure è proprio questa terza generazione a dimostrare più interesse per quello che fu il suo passato ed è ad essa che si rivolge Anna Maria Fiorentin in una breve ma intensa rivisitazione delle vicende che colpirono la Venezia Giulia, l’Istria e la Dalmazia durante la Seconda Guerra mondiale e nel dopoguerra.
Vegliota di origine, la Fiorentin ripercorre la storia della sua terra in un continuo intrecciarsi di vicende personali e fatti storici, dove però non viene mai meno il filo conduttore cronologico e soprattutto l’adesione alla verità storica, scevra da risentimenti e aperta a un nuovo dialogo con chi rifiutò l’esodo e scelse di restare.
Colpisce la serenità del racconto, volutamente cercata per avvicinare il giovane pubblico, ma anche così rara nella bibliografia giuliana. I venti capitoli/incontri in cui è suddiviso il libro non tralasciano quasi nulla dei fatti più importanti, ma li depurano da quella animosità che spesso contraddistingue opere parallele, anche se talvolta indugiano su vicende (come l’episodio Interrogate i morti o la tragica storia di Norma Cossetto) che poco aggiungono alla linearità dell’impianto e alla conoscenza storica.
Colpisce altresì una notevole libertà di giudizio che non arretra davanti a una condanna totale del fascismo, ma non si vergogna nemmeno di ammettere che l’arrivo dei tedeschi dopo l’8 settembre 1943 fu salutato quasi con sollievo perché metteva fine alle scorribande slave; libertà che non si preoccupa di cercare mediazioni quando afferma con schiettezza che gli italiani erano culturalmente superiori agli slavi, ma neppure di criticare i giudizi avventati sui rimasti piuttosto che riconoscere le aperture della sinistra italiana negli ultimi anni.
Quello che invece appesantisce il libro è proprio la struttura dell’impianto. L’equilibrio tra racconto e saggio appare forzato e toglie scorrevolezza al testo: l’espediente della nonna dalmata che racconta la sua vita di esule ai nipoti, seppure riuscito nella caratterizzazione del personaggio, mal si concilia con il dispiegarsi dei fatti; inopportuna appare inoltre la cruda descrizione delle più macabre violenze omicide e forzati e lontani dal linguaggio parlato risultano i dialoghi e gli interventi dei ragazzi.
Resta da chiedersi se l’intento dichiarato di far conoscere la storia ai giovani debba sempre passare attraverso l’esperienza (che talvolta diventa anche parzialità) di chi l’ha vissuta, o piuttosto se non sia arrivato il momento di uscire dalla memorialistica giuliana e dall’impegno degli esuli (ai quali la Fiorentin rivolge l’accorato appello di divulgare il più possibile il testo) per affrontare temi e problemi che riguardano la storia di un paese e, come tali, meriterebbero studi approfonditi da parte della storiografia contemporanea.

Valentina Picariello