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Anna Segre (a cura di) – Un coraggio silenzioso. Leonardo Debenedetti, medico, sopravvissuto ad Auschwitz – 2008

Anna Segre (a cura di)
Torino, Zamorani, 133 pp., euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2008

Leonardo (Nardo) De Benedetti (1898-1983) non è soltanto il personaggio-ombra che segue Primo Levi nel viaggio di ritorno verso Torino descritto ne La tregua. È anche il co-autore di quel Memoriale, scritto a quattro mani con Primo Levi (1946), che da qualche tempo, in Francia e nei paesi anglosassoni ? curiosamente non in Italia ? viene proposto ai lettori come un libro a sé, una sorta di premessa a Se questo è un uomo.Di questo medico, che per tutto il secolo scorso visse appartato, sapevamo assai poco. Nulla volle pubblicare in vita della propria esperienza in Lager. Questo libro ci restituisce la sua storia personale e professionale, con il corredo di fotografie. Alla parola preferiva l’immagine. Sunt lacrimae rerum potrebbe essere il motto di un figura decisiva nella maturazione di Levi scrittore. «Nardo» rappresenta qualche cosa di più di un alter ego o di un fratello maggiore. La «sua» campagna di Russia è quella della prima guerra mondiale, non della seconda. Aveva 40 anni nel 1938. Nell’esplorare la sua vicenda, ci accorgiamo di trovarci nel mezzo di quella atmosfera sospesa nel tempo che è descritta nel racconto Argon de Il sistema periodico. L’ironia è il registro che accomuna le due scritture. Di Nardo era proverbiale la distrazione, non si sentiva a suo agio quando doveva «portare il lutto»; è assai probabile che il suo silenzio sia legato al fatto che preavvertisse i pericoli di quegli eccessi della memoria che oggi molti lamentano. Preferiva essere lasciato nell’ombra e scherzava su ogni circostanza in cui fosse costretto ad apparire in pubblico. Diventato cavaliere per meriti acquisiti durante un’epidemia amava scherzare sul fatto che quella onorificenza il re gliel’aveva concessa motu proprio. Vittorio Emanuele, amava ripetere, si era svegliato una mattina dicendo: «Ma come non ho ancora fatto cavaliere il dottor Nardo?». E immediatamente aveva provveduto.Si leggono in questo libro le terribili vicissitudini della moglie Jolanda, che da Auschwitz non fece ritorno. Per lodevole iniziativa dei famigliari sono riprodotte alcune lettere spedite dal campo di Fossoli prima della deportazione, insieme ad altre scritte dopo la liberazione del campo, per esempio quella scritta da Katovice, 7 marzo 1945, nella quale si compendia in poche righe l’orizzonte mentale entro cui va collocato il tema, oggi finalmente studiato, del ritorno dal Lager: «Quando ripenso alla vita che ho fatto in questi ultimi mesi, mi accorgo di essere passato vicino a pericoli gravissimi quasi senza accorgermene e di averli sfiorati con noncuranza, anzi con indifferenza; e ora invece, che sono passati, ne rabbrividisco. Forse perché allora ero convinto che la mia disavventura non poteva avere se non una fine mortale; vedevo tanta gente morire, che mi pareva assolutamente naturale il dover fare presto o tardi la medesima strada: o malattia, o sevizie, o gas asfissiante. Ne ero convinto e rassegnato e perfettamente tranquillo e sereno» (p. 75).

Alberto Cavaglion