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Antonio Catolfi – Televisione e politica negli anni Sessanta – 2006

Antonio Catolfi
Urbino, Quattroventi, 206 pp., euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2006

Gli anni ’60 introdussero cambiamenti decisivi in Italia: uno di questi fu la definitiva affermazione della televisione come pilastro dell’informazione culturale e politica. È per questa ragione che Catolfi ha scelto di focalizzarsi, nella ricostruzione dei complessi rapporti tra TV e politica in Italia, proprio su quel decennio che vide trasformazioni profonde e durature sia nell’azienda radiotelevisiva sia nelle modalità della comunicazione politica. Nel 1961 infatti l’arrivo in RAI di Ettore Bernabei, ex direttore de «Il Popolo», produsse un rinnovamento sul piano della programmazione e insieme un rafforzamento dei vincoli fra l’azienda e i centri del potere politico. Con l’obiettivo di «fare buoni programmi», Bernabei intendeva trasformare «la RAI in una grande azienda culturale» per farne una «fabbrica di consenso per la DC» senza scuotere i rapporti con la Chiesa (p. 106). Tra il 1960 e il 1961, poi, con la nascita delle trasmissioni di Tribuna elettorale e Tribuna politica la TV iniziò, non senza forti resistenze, a competere con gli strumenti tradizionali della propaganda politica. Catolfi segue l’intrecciarsi di questi fenomeni. Evidenzia i tratti caratterizzanti di una «televisione del governo» che, sia per il ruolo marginale del Parlamento nella sua gestione sia per l’iniziale diffidenza delle sinistre verso i nuovi media, poté essere utilizzata dalla DC nel suo progetto di modernizzazione culturale e di «controllo dello status quo politico e sociale del paese» (p. 74). Ricostruisce inoltre il lungo processo che portò all’ingresso della politica e dei suoi protagonisti nelle case degli italiani attraverso gli schermi televisivi. Regista di questa innovazione fu l’allora presidente del Consiglio Fanfani che, dietro le pressanti richieste delle opposizioni e una sentenza della Corte costituzionale sulla legittimità del monopolio televisivo pubblico, decise di concedere a tutti i partiti l’accesso in TV in vista delle elezioni amministrative del 1960; scelta da inquadrarsi anche come «chiaro segnale politico verso il centrosinistra » (p. 69). A fronte di un grande successo di pubblico, l’introduzione della politica in TV non mancò di suscitare diffidenze e difficoltà tra i politici. Mentre la destra DC attaccava violentemente una televisione che aveva portato «le ballerine e Togliatti nel cuore delle famiglie italiane», la stampa comunista non coglieva (o sottovalutava) il carattere innovativo delle «Tribune». Ma soprattutto c’erano le difficoltà dei politici nel misurarsi con le novità imposte dal mezzo: efficacia e velocità di esposizione, equilibrio dei contenuti, telegenia, capacità di rivolgersi ad un pubblico più vasto e differenziato di quello dei propri elettori. Con l’introduzione delle «Tribune» anche in Italia la comunicazione politica si avviava a diventare «spettacolo» e, sebbene sul momento molti politici non se ne resero conto, si trattò di un cambiamento lento ma inesorabile. Peccato quindi che Catolfi non abbia esteso la sua analisi fino al 1968, quando ormai la supremazia propagandistica della televisione era un fatto assodato, ma era anche entrato in crisi definitivamente il modello di «TV del governo».

Giulia Guazzaloca