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Ascesa e declino. Storia economica d’Italia

Emanuele Felice
Bologna, il Mulino, 385 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2015

Comprimere in circa 400 pagine oltre due millenni di storia economica del nostro
paese non è impresa facile. Emanuele Felice, un giovane e già valido studioso, ha voluto
provarci e il volume testimonia la bontà del suo sforzo. In verità, le pagine dedicate al
periodo preunitario sono molto ridotte e non poteva che essere così, ma si integrano
con un’analisi di lungo periodo necessaria a tracciare un filo conduttore che consente di
procedere lungo un cammino tortuoso e accidentato. La scelta metodologica era quasi
obbligata: affidarsi alla cliometria, attingendo a un’ampia e articolata bibliografia che si
è imposta nella disciplina negli ultimi decenni. L’a. si rende conto delle difficoltà insite
nell’utilizzo di questi dati. I limiti dei calcoli del Pil e dei redditi sono evidenti, ma – nella
logica del volume – non sono possibili scelte alternative. Certo, per il periodo dell’antichità,
si fatica ad attribuire un preciso significato ai dati presentati nella prima tabella (p. 17).
Mi vengono alla mente, tanto per fare un breve esempio, le attività finanziarie di Cicerone
che nell’epistolario con Attico parla di centinaia di migliaia di sesterzi investiti in attività
creditizie attraverso lettere di cambio che mal si conciliano con i dati del Pil pro capite
presenti. Considerazioni che, a maggior ragione, valgono per periodi successivi sino alla
quotidianità attuale. Tenore e qualità della vita pretendono analisi più approfondite.
L’interpretazione dell’economia postunitaria procede, a maggior ragione, seguendo
i dati statistici, più affidabili ma sempre parziali. Si dice che esistono bugie piccole, bugie
grandi e le statistiche. La ricerca storica si rivolge a sistemi complessi e non a quelli complicati
per i quali i numeri possono anche bastare. La complessità vive di interconnessioni
profonde, difficili da ridurre a indicatori che pure hanno una loro validità, ma che non ne
rappresentano la totalità. Tuttavia l’a. si muove con accortezza tra queste insidie cogliendo
l’occasione per sottolineare le novità presenti nella metodologia della storia economica, le
nuove frontiere della business economy e l’apporto delle discipline economiche (p. 85).
Nell’ultima parte, dal dopoguerra a oggi, il tracciato risulta più agevole e la tirannia
dello spazio impone di comprimere il fiume degli avvenimenti con qualche mancanza.
Mi limito a osservare la questione del debito pubblico, giustamente accusato di aver avuto
uno sviluppo inarrestabile dagli anni ’70 in poi. Tuttavia manca, a mio avviso, una
riflessione più articolata sulla sua gestione; e al cosiddetto «divorzio» tra Tesoro e Banca
d’Italia dedica solo tre righe (p. 289), poche per una decisione che avrebbe prodotto effetti
devastanti e che rientrava in una strategia di lungo periodo i cui risultati sono oggi
sotto gli occhi di tutti.
In definitiva si tratta di un volume di gradevole lettura, ricco di dati e di spunti al
quale va dato merito di presentare un ampio affresco della storia economica del nostro
paese. Un’utile rassegna storiografica che non offre però i risultati innovativi che mi sarei
atteso.

Maurizio Pegrari