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Avanti sempre: emozioni e ricordi della guerra di trincea, 1915-1918

Nicola Maranesi
Bologna, il Mulino, 292 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2014

L’obiettivo dell’a. è quello di descrivere i ricordi e le emozioni del soldato italiano attraverso un percorso, basato su scritti di varia natura (diari, lettere, memorie retrospettive e autobiografie) raccolti presso l’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, che si snoda dalla partenza (cap. I: Il salto nel vuoto) all’esperienza della battaglia, della violenza, della morte e delle ferite, fino al ritorno (cap. X: Oltre l’ostacolo). Ogni capitolo è composto da una parte generale che descrive come «la maggior parte» degli autori studiati abbia affrontato una singola esperienza, seguita da alcuni paragrafi che ricostruiscono le vicende di un singolo soldato, particolarmente rappresentativo della tematica trattata.
Il testo è pensato per un pubblico più ampio rispetto a quello degli storici. L’a. intende farsi «accompagnare per mano» dalle testimonianze nel labirinto delle trincee, lasciando ai protagonisti e alle citazioni dirette dai loro testi uno spazio amplissimo. Il ruolo dell’a. diviene quello di un regista cinematografico che orchestra, abilmente e con una libertà almeno in teoria negata a molti storici, le parole degli «attori». Il risultato è un testo incalzante, affascinante, accessibile, i cui risultati si devono misurare nella capacità di coinvolgere il lettore non specialista più che nel contributo storiografico ai dibattiti in atto sulla storia delle emozioni e dell’esperienza del conflitto.
La differenza tra le due impostazioni è palese quando l’a. trae conclusioni di carattere generale, non necessariamente errate, ma ben difficili da provare (es. «Quello che ci sembra di poter dire è che per la gran parte quei ragazzi erano pronti [per l’esperienza di trincea]» p. 263). Tali conclusioni necessitano di precauzioni che riguardano sia la situazione storica extratestuale sia la natura della scrittura popolare come fonte storica. Dai singoli diari, per esempio, non è percepibile il basso tasso di alfabetizzazione della popolazione italiana di inizio secolo, che da solo basta a qualificare la maggior parte dei testimoni citati nel saggio, spesso linguisticamente competenti, come probabili eccezioni. Un altro fatto esterno all’universo della scrittura è anche la forte disomogeneità sociale e soprattutto culturale dell’esercito italiano, che fa supporre che non esista un singolo «percorso emozionale».
L’a. non esplicita in maniera sistematica quando i singoli testi siano stati stesi o quale pubblico gli autori immaginassero per i propri scritti, né discute in profondità l’effetto di queste variabili sulla parola di testimonianza. La scelta è consapevole: l’a. crea un percorso estremamente lineare a partire da fonti eterogenee. Ma al prezzo di dimenticare che gli scritti popolari furono, a seconda dei casi e degli autori, strumenti di autogiustificazione, aiuto al ricordo, messaggio per i familiari, strumento di resistenza psicologica all’esperienza di guerra: ogni «percorso emozionale» che voglia avere peso storiografico non può evitare di affrontare le intenzioni che sottendono alla parola scritta, e l’influenza che esse hanno sulla veridicità dei fatti e delle emozioni raccontate.

Federico Mazzini