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Barbara Duden – I geni in testa e il feto nel grembo. Sguardo storico sul corpo delle donne – 2006

Barbara Duden
Torino, Bollati Boringhieri, pp. 242, euro 28,00 (ed. or. Hannover, 2002)

Anno di pubblicazione: 2006

Storica femminista, studiosa di storia della medicina tedesca del ‘700, Barbara Duden ha raccolto in questo libro 18 brevi articoli e interventi degli ultimi 15 anni. In essi si trovano ripresi e accresciuti argomenti già presentati in Il corpo della donna come spazio pubblico (pubblicato da Bollati Boringhieri nel 1994). In entrambi i testi Duden rivolge la propria critica al processo con cui, nel volgere di pochi decenni, la genetica, le nuove tecniche riproduttive e gli sviluppi della professione medica hanno espropriato le donne della esperienza del proprio corpo. L’autrice descrive i modi con cui l’invasione di tecniche diagnostiche preventive, i test di gravidanza, le ecografie, e l’onnipresenza di schermi dove l’interno del corpo è visualizzato perché il medico possa esercitare la sua autorità onnisciente, hanno di fatto ridotto le donne a strumento passivo della scienza, negando l’autopercezione delle proprie sensazioni ed esperienze, e riducendole a mero strumento di verifica e quantificazione astratta. Mentre nei secoli precedenti le donne erano protagoniste attente a quanto avveniva nei propri corpi, e in quanto tali si ponevano come interlocutrici dei medici, ora sono ridotte a oggetti passivi in perenne attesa di un referto esterno. Il confronto costante tra la situazione esistente nella Germania del ‘700 e quella odierna di fine ‘900 è il nodo centrale dell’argomentazione di Duden: se per il medico d’ancien régime contavano i fatti di «sangue» e di «natura», per il medico odierno fondamentali sono soprattutto le statistiche («è raro che ascolti la narrazione di una sofferenza», p. 114). Diviso in tre parti, percorso da una scrittura intensa e partecipe, accanto a contributi relativi a mostre, sentenze giuridiche, neologismi, nel libro si individuano con estrema coerenza diversi contesti ed esempi che illustrano l’inarrestabile processo di de-umanizzazione e perdita della percezione sensibile da parte delle donne: dalla crescente visualizzazione dell’interno del corpo, alla valorizzazione del ruolo fondamentale svolto nei secoli da levatrici e ostetriche; dall’opera di cancerizzazione e l’oncofobia, alla polemica aspra contro Judith Butler, fino a un acme costituito dal capitolo sull’introduzione della pillola. Quest’ultima è considerata un evento spartiacque, vero e proprio emblema del mutamento epocale attraverso il quale la donna «interiorizza un comando chimico» (p. 141) e si afferma il trionfo della decorporeizzazione. Ricco di intuizioni acute, attraversato da echi luddisti e da un tono generale che sembra riecheggiare gli appelli appassionati delle predicatrici di altri secoli, il libro è provocatorio e assai stimolante, anche se le sue tesi non sempre sono condivisibili, e talvolta alcuni saggi risultano un po’ datati (le statistiche di riferimento sul cancro risalgono ai primi anni ’90). Da lamentare che l’editore italiano non abbia voluto includere un indice dei nomi.

Paola Di Cori