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Barbara Frale – Il principe e il pescatore. Pio XII, il nazismo e la tomba di San Pietro – 2011

Barbara Frale
Milano, Mondadori, 360 pp., Euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2011

Il libro presenta i risultati di una ricerca interessata a ricostruire l’intreccio di molte trame storiche e di molti dibattiti storiografici partendo da una vicenda poco conosciuta o meglio, secondo la studiosa, «rimasta finora nell’ombra proprio perché le discussioni degli storici si sono più che altro concentrate sui grandi temi, alla ricerca di una risposta univoca, irreversibile e definitiva sulla famosa questione dei “silenzi” di Pio XII riguardo alla tragedia della Shoah» (p. 10).Da questo presupposto si dipana il volume di Barbara Frale che narra l’impresa di un Pio XII, il principe, risoluto nel commissionare e realizzare una serie di scavi da intraprendere nei sottorranei del Vaticano con l’obiettivo di individuare la tomba di Pietro, il pescatore. Un’iniziativa difficile, onerosa e lunga, dettata non solo da intenti religiosi ma anche da motivazioni politiche. Infatti gli scavi archeologici si subordinarono presto ad operazioni di copertura negli anni della guerra al fine di organizzare riunioni segrete fra vertici vaticani e religiosi tedeschi al fine di sovvertire l’establishment nazista.La controversa figura di Pio XII non dovrebbe essere dunque tale, una volta constatata l’operosità con cui il pontefice si impegnò nel contrastare, come attesta anche questa sua impresa archeologica, il nazismo, i totalitarismi europei, il secondo conflitto mondiale, la Shoah, le molte eredità luttuose lasciate dalla guerra, oltre alle teorie razziste di Alfred Rosenberg che, nel libro, sperabilmente per un refuso, diviene Arthur Rosenberg, ovvero l’esponente politico del Partito comunista tedesco della Germania degli anni ’20.Pio XII emerge dunque lungo le pagine del libro come figura da riscattare dalle molte e presunte ingiuste accuse che lo dipingono uomo cinico al servizio del solo calcolo politico e della pura ragion di Stato. L’esigenza primaria dell’a. sembra essere quindi quella di riconsegnare l’uomo Pacelli allo spazio dell’etica prim’ancora che a quello della storia. Potrà così capitare al lettore di imbattersi in frasi drammatiche e altisonanti quali: «imparò a sanguinare dentro, e piangere soltanto quando restava solo, nel buio della sua stanza» (p. 300); «fondamentalmente sentiva d’aver fallito, proprio come il suo predecessore Benedetto XV, perché non era riuscito a fermare il conflitto» (p. 296).Ci dobbiamo rassegnare. La storia di quel periodo, dei silenzi o delle grida di Pio XII, si è trasformata nella storia della difesa o dell’accusa del comportamento di Pacelli, togliendo spazio a qualunque forma di riflessione storiografica. Cadendo ogni tensione realmente conoscitiva non ci resta quindi che «tifare» per una tribù o per l’altra. Il meccanismo è dunque semplice: alla cosiddetta mistificazione segue una paritetica demistificazione, in un gioco di specchi in cui a distorcersi è proprio la storia, o i presupposti che l’hanno fondata in quanto Scienza.

Elena MazziniI