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Barbara Pisciotta – Alle origini dei partiti post-comunisti. La frattura di classe nell’Europa centro-orientale – 2007

Barbara Pisciotta
Soveria Mannelli, Rubbettino, 162 pp., Euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2007

Al lettore post-comunista potrebbe avvenire di sobbalzare incontrando in queste pagine locuzioni come «coscienza di classe» e «lotta di classe», senza che alcuna indicazione sul loro possibile uso in un contesto scientifico venga fornita; e al lettore semplicemente ignorante dei lessemi della politologia contemporanea, di impiegare qualche decina di pagine prima che di capire che i cleavages di cui si parla sono (con parole del recensore) le grandi questioni attorno alle quali, in un regime ragionevolmente rappresentativo, si formano i partiti, gli schieramenti di partiti e si determina il voto dell’elettorato: ma alla fine entrambi questi lettori saranno grati all’a. per averli introdotti nell’ambiente politico originale dell’Europa dell’Est di dopo il 1989. Il problema è: quali sono le grandi caratteristiche generali dei sistemi partitici formatisi nei paesi europei ex comunisti? La risposta è sconcertante solo in apparenza: essi ricalcano quelli stabilitisi prima della sovietizzazione dei rispettivi paesi. Se nella Repubblica ceca e in Ungheria quei sistemi riproducono fondamentalmente il cleavage «destra/sinistra», proprio dell’esperienza storico-politica della maggior parte dell’Europa occidentale (basata sulla contrapposizione capitale/lavoro), in Romania e Bulgaria gli schieramenti politici e partitici continuano a formarsi ancora, in modi diversi, attorno a una proteiforme istanza di «populismo» in diverse varianti, verso le quali gli elettori sono sospinti da uno spregiudicato impulso al semplice miglioramento delle loro condizioni individuali e non di gruppo, classe, lobby. La Polonia e la Slovacchia rappresenterebbero sfumature intermedie tra i primi e i secondi. È questa la conseguenza di una storia politica prebellica che in Bulgaria e Romania ha visto fare da padrone le istanze della contrapposizione città/campagna, Chiesa/Stato e infine, della questione nazionale ed etnica. Finito il comunismo, la prima non si è ripresentata (anche se ha fatto capolino in Polonia) e la seconda e la terza hanno informato di sé importanti formazioni politiche (tra le quali i partiti comunisti riformati): come risultato, il processo politico si è finora svolto all’insegna di un fondamentale interclassismo. Nessuna di queste tre fenomenologie sembra offrire un’automatica garanzia di piena affermazione, o di sicuro fallimento della democrazia. E l’a. si mantiene speranzosa, pur considerando anche le diverse variabili istituzionali in cui può declinarsi il sistema rappresentativo in questa regione: parlamentare, semi-presidenziale, presidenziale. Tuttavia, per uno storico, una delle osservazioni più rilevanti di Pisciotta, è che il periodo comunista non ha alterato in modo sostanziale le predisposizioni al comportamento politico presenti tra le popolazioni e gli elettorati di questi paesi già tra le due guerre mondiali. Il comunismo come episodio che non avrebbe inciso strutturalmente sui rispettivi body politics, allora? Conclusione degna di ulteriore riflessione, evidentemente. L’argomento dell’opera è condotto in modo ammirevolmente stringato e in un italiano eccellente.

Francesco Benvenuti