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Bombardare Auschwitz. Perché si poteva fare, perché non è stato fatto

Umberto Gentiloni Silveri
Milano, Mondadori, 120 pp., €. 17,00

Anno di pubblicazione: 2015

Si poteva fermare lo sterminio sistematico degli ebrei ad Auschwitz? È questa una do- manda che attraversa anni di ricerche storiche e riempie scaffali di librerie specializzate nella ricostruzione documentaria o testimoniale della tragedia vissuta dagli ebrei deportati da tutta l’Europa verso il sistema concentrazionario di Auschwitz. In particolare, sorge questo pressante interrogativo per i mesi che vanno dal maggio al settembre del 1944, quando ven- nero deportati e sterminati nelle camere a gas di Birkenau più di 400.000 ebrei ungheresi.
È indubbio che la domanda sottende una considerazione ormai diffusa anche tra gli storici: ciò che accadeva all’interno della zona d’interesse di Auschwitz (che comprendeva quasi tutti i sotto campi del sistema, oltre ai tre principali: Auschwitz I, Birkenau e Mo- nowitz) era anche il frutto dell’indifferenza e del palese disinteresse politico e militare di buona parte delle nazioni in guerra contro il nazismo e il fascismo, oltre che del Vaticano, della Croce Rossa e del nascente Stato ebraico in Palestina. Ian Kershaw ha scritto che
«la strada che portò ad Auschwitz gli Ebrei d’Europa, fu costruita anche con il cemento dell’indifferenza» (Popular Opinion and Political Dissent in the Third Reich, 1933-1945, 1983), mentre Raul Hilberg (Perpetuors Victims Bystanders, 1992) dedicò una parte del suo studio agli spettatori, protagonisti tra gli altri della macchina dello sterminio.
Con un saggio agile e documentato, ricco di riferimenti anche all’ampia bibliografia internazionale, l’a. cerca di ricostruire le radici storiche di un terribile silenzio di fron- te a una questione che sembra, quanto meno nella pubblica opinione e nella memoria dell’Occidente democratico, rimanere senza risposta, se non (come sostenne Peter No- vick, The Holocaust in American Life, 1999) inutile e retorica, «una speculazione senza fondamento alcuno».
Oggi ci dice l’a., assistiamo a un rovesciamento di «prospettive e priorità interpreta- tive» (p. 97). «La modalità di guardare e interrogare il passato muta nel corso del tempo»: l’emergere nella coscienza europea di una grande consapevolezza di che cosa abbia signifi- cato per l’intero genere umano la Shoah, ci consente di rileggere le strategie e gli snodi po- litico-militari del passato. La sua ricostruzione puntuale della trama delle incomprensioni e dei fraintendimenti che tra la fine del 1943 e il 1944 condussero le maggiori potenze alleate a sottovalutare un loro intervento per fermare lo sterminio di Auschwitz, getta una luce nuova sui ritardi della politica e della pubblica opinione nella comprensione piena dello sterminio ebraico. La precisione del saggio, non ci consente tuttavia di comprende- re, come l’a., richiamando il nome e la testimonianza di Shlomo Venezia, abbia potuto accreditarlo come «uno dei coraggiosi protagonisti della rivolta del Sonderkommando, nel crematorio IV di Birkenau, il 7 ottobre 1944» (p. 23). Sappiamo dai documenti conser- vati al museo statale di Oświęcim che non fu così, perfino per ammissione di Venezia (Sonderkommando Auschwitz, 2007, pp. 134-145). Questo errore di ricostruzione storica, tuttavia, non inficia un lavoro serio che merita di essere letto con attenzione.

Frediano Sessi