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Borbonici, patrioti e criminali. L’altra storia del Risorgimento

Enzo Ciconte
Roma, Salerno editrice, 174 pp., € 12,00

Anno di pubblicazione: 2016

Il libro di Ciconte indaga le relazioni tra gruppi politici e organizzazioni criminali nell’età risorgimentale. Si inserisce in un filone di studi che, in tempi recenti, è stato scandagliato sia da importanti ricerche storiografiche (come l’importante lavoro di Franco Benigno, tra l’altro spesso citato dall’a.) che da numerosi libri di carattere narrativo e di impostazione evidentemente occasionale. L’a. colloca la sua prospettiva nella storia nel Mezzogiorno risorgimentale sostenendo che tanto nell’età borbonica, quanto nella crisi del 1860 e poi nella fase successiva di consolidamento dello Stato unitario, è sempre stata presente una solida relazione tra settori malavitosi e sistema politico.
La tesi è che i gruppi criminali erano funzionali ai disegni dei settori politici che hanno insistito sulle vicende meridionali, e a loro volta le organizzazioni malavitose ne sono state condizionate. Si tratta di una ipotesi su cui hanno lavorato anche altri studiosi, ma che da Ciconte viene largamente ampliata, per proporre una originale interpretazione del processo unitario. Per l’a., al centro di questa esperienza è l’intensa e violenta conflittualità che caratterizza il processo politico meridionale nei decenni tra l’età di Ferdinando II e la crisi di fine secolo. Lo scontro politico, il ripetersi di rivoluzioni, delle guerre e dei conflitti interni assegna un ruolo centrale alla violenza. A suo avviso, nel fondo, le dinamiche del conflitto nel Regno delle Due Sicilie e nell’Italia unita sono strettamente connesse a gruppi sociali meridionali, divisi. L’a. li divide secondo fasce tradizionali. Sono i grandi ceti proprietari, la borghesia emergente e i gruppi popolari a sviluppare diverse tipologie di azione armata.
La violenza marca la dialettica tra questi attori socio-economici e, secondo l’a., diventa occasione di apprendistato, oltre che di inserimento, per i gruppi criminali. Questi formano i loro capi e le loro élite in tale contesto. Sviluppano innovative forme operative ed evolute pratiche relazionali, capaci di accumulare ricchezze e districarsi anche nelle più complicate fratture politico-istituzionali del Mezzogiorno risorgimentale. L’a. ampia la propria tesi invertendo lo schema, e assegnando anche alla malavita la capacità di condizionare linguaggio e comportamenti della politica scegliendo, soprattutto nei casi di Palermo e di Napoli, alcune delle loro leadership più famose.
Il lavoro, che utilizza la bibliografia classica e quella più recente, oltre che alcuni scavi archivistici, si inserisce pertanto in questo filone di rilettura dell’unificazione nel Mezzogiorno, agganciandosi alle più calde novità del dibattito pubblico.

Carmine Pinto