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Bruna Bagnato (a cura di) – I diari di Luca Pietromarchi ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961) – 2002

Bruna Bagnato (a cura di)
Firenze, Leo S. Olschki, pp. 446, euro 49,00

Anno di pubblicazione: 2002

Le memorie dei diplomatici sono sempre state, per gli storici, una fonte di particolare interesse, fino a costituire quasi un genere storiografico a parte. Mosca, poi, ha rappresentato, per i nostri ambasciatori, un osservatorio privilegiato su un mondo spesso misterioso, quasi inducendoli alla testimonianza: pensiamo a Quaroni, Brosio, più recentemente a Sergio Romano ed ora a questi Diari di Luca Pietromarchi (ritrovati in circostanze fortuite dagli eredi e donati alla Fondazione Einaudi nel 1996). Nato da nobile famiglia romana, entrato in carriera nel 1923, Pietromarchi collaborò con il gen. Castellano all’elaborazione dell’armistizio. Epurato nel 1946, reintegrato l’anno seguente, fu ambasciatore in Turchia dal 1951 al ’58, anno in cui venne trasferito, su sua richiesta, a Mosca, nell’ambito dei movimenti di diplomatici seguiti alla nomina di Fanfani alla Presidenza del Consiglio e al ministero degli Esteri (la cosiddetta ?rivolta dei Mau-Mau?, appellativo con il quale furono sarcasticamente indicati i fedelissimi dello stesso Fanfani al ministero).
Ferreo anticomunista, cattolico osservante e democristiano convinto, Pietromarchi, come nota Bruna Bagnato nella sua Introduzione, cercò di seguire nel suo incarico le tradizionali linee della politica estera italiana: fedeli all’alleanza atlantica, evitando però l’isolamento con la presenza e la mediazione. Ciò si tradusse nel tentativo sincero di migliorare i rapporti tra Roma e Mosca liberando ?il terreno dalle questioni pendenti dalla guerra con un chiarimento che avrebbe consentito all’Italia sia di acquisire un maggiore margine di manovra nel sistema internazionale sia di profittare delle opportunità intraviste in un mercato sovietico in pieno sviluppo nel panorama in movimento dell’era kruscioviana? (p. XIII). Le fatiche del nostro ambasciatore risentiranno però degli ambigui significati di cui si caricherà la politica mediterranea e neo-atlantica del presidente della Repubblica, Gronchi (e di Mattei a capo dell’ENI). Parallelamente, il quadro internazionale subirà il peso delle tensioni seguite ai fatti d’Ungheria e a Suez: la questione tedesca e la seconda crisi di Berlino, la decisione americana di installare dei missili in Europa e sul territorio italiano, la rottura tra Cina e URSS, il problema dell’aereo-spia U2. Difficoltà che si manifestano, forse inconsciamente, nelle contraddizioni che emergono spesso nelle note contenute in queste pagine, oscillando tra la simpatia umana per Krusciov e le osservazioni sui suoi connotati di rozzezza e dispotismo, tra le critiche al sistema economico comunista e la sottolineatura degli indubbi progressi della società sovietica.
Il sostanziale fallimento del viaggio di Gronchi a Mosca nel febbraio 1960 (cui è dedicato un lungo resoconto) che sostanzialmente, poco più di un anno dopo, segna la fine della carriera di Pietromarchi, è, forse, di queste ambiguità e contraddizioni, il segnale più evidente e l’episodio conclusivo: a poco valgono le sempre valide osservazioni su come in Italia non si riesca a distinguere ?la direttiva ideologica dalla direttiva politica, né la politica interna dalla politica estera? (p. 329).

Giovanni Scirocco