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Bruno Maida – Non si è mai ex deportati. Una biografia di Lidia Beccaria Rolfi, – 2008

Bruno Maida
Torino, Utet, XVIII-220 pp., €18,00

Anno di pubblicazione: 2008

La produzione storiografica italiana sul tema della deportazione è fatta in gran parte di volumi collettanei, nati spesso da occasioni d’incontro e riflessione come convegni e seminari; dall’altro lato ci sono le storie dei singoli, che raramente sono biografie scritte da storici, un genere che in Italia è stato poco praticato su questo tema.L’importanza del genere biografico come mezzo di arricchimento della storiografia della deportazione è evidente, soprattutto quando i soggetti dell’analisi sono personaggi allo stesso tempo così esemplari e così eccezionali come Lidia Beccaria Rolfi. Maida, nel suo saggio, ripercorre tutta la vita di Beccaria, non limitandosi alla vicenda concentrazionaria. D’altra parte, però, è impossibile non sottolineare che la deportazione è un evento cruciale ed un elemento chiave nella vita di Lidia.Questa è la storia del difficile percorso di una donna che ha saputo analizzare dall’interno la violenza del Lager, rompendo l’indicibilità attraverso la memoria; una donna che, al suo ritorno, ha rotto il muro di silenzio creato attorno ai deportati dall’indifferenza di chi avrebbe dovuto ascoltare, in un momento in cui la deportazione, in quanto esperienza di «non vincitori», diventava scomoda per la rifondazione dell’immagine nazionale.Una delle prime questioni che Maida pone nel suo saggio è proprio quella sull’utilità e sulla necessità storiografica della biografia, sottolineando che essa, tra l’altro, è un utile strumento di indagine del rapporto tra l’individuo e la società. E lo è, aggiungerei, da due punti di vista: quello del rapporto tra il soggetto della biografia e il contesto culturale all’interno del quale è vissuto e quello del rapporto tra l’autore della biografia e il contesto culturale al quale si rivolge.La biografia, inoltre, permette allo storico di contemplare il registro del particolare e dell’universale senza cadere in eccessive semplificazioni o banalizzazioni e gli consente di assumere quella distanza critica che le memorie scritte dai reduci non possono sempre avere.Il libro di Maida ha un valore aggiunto non indifferente, poiché, nella seconda parte, riporta per intero il diario che Beccaria ha scritto durante la prigionia, un documento unico ed eccezionale, non solo perché era un’impresa rischiosa e elitaria quella di scrivere all’interno del Lager, ma anche perché era ancor più raro riuscire a conservare e a portare con sé gli scritti.È una scelta precisa e dichiarata dell’a. quella di non utilizzare i Taccuini di Lidia nella parte della biografia relativa alla deportazione, al fine di valorizzarli nella loro interezza e di salvaguardarne il valore documentale. Questo, a mio parere, è un limite del saggio, poiché ritengo che i Taccuini gettino luce nuova sul vissuto di Lidia all’interno del Lager e che aprano nuovi spazi di riflessione sulla sua scrittura e sull’elaborazione della prigionia che ha fatto in seguito. Maida, non utilizzando gli appunti di prigionia di Beccaria come fonte, ha scelto di tener separate le due cose, quasi che i taccuini fossero un documento storico, ma non storicizzabile.

Valentina Greco