Anno di pubblicazione: 2004
Autore, editore e addirittura distributore dei suoi libri ? da autodidatta o, come ama definirsi, da ?dilettante? ? Camillo Pavan negli ultimi dieci anni si è ritagliato uno spazio non indifferente negli studi di storia locale sulla Grande Guerra. Un percorso, il suo, iniziato nel 1997 con un volume dedicato a Caporetto, proseguito nel 2001 con un libro sui prigionieri italiani e che ora tocca un aspetto a lungo trascurato dagli studi sulla prima guerra mondiale ? le condizioni della popolazione civile in Veneto e in Friuli dopo l’ottobre-novembre del ’17; ancora sul finire degli anni ’80, infatti, Gustavo Corni osservava come su questo argomento ci si trovasse di fronte ad un caso di ?dimenticanza storiografica?. Le vicende dei civili friulani e veneti occupati dopo Caporetto vengono restituite dalle testimonianze di persone che hanno vissuto in prima persona l’esperienza dell’invasione. Magari la raccolta delle fonti, avvenuta tra il 1984 e il 1999, non rispecchia tutte le accortezze e i crismi della storia orale, ma costituisce comunque un campione significativo delle varie opzioni che si sono presentate alla popolazione civile in quella fase decisiva della guerra. Fonti che tuttavia non sempre possono parlare da sole e che avrebbero richiesto una maggiore contestualizzazione da parte dell’autore, che si è limitato a dividerle per tipologie.
I protagonisti raccontano innanzitutto l’inizio della ritirata dell’esercito dopo la disfatta militare e lo stupore della popolazione di fronte alla resa e alla fuga dei soldati italiani. E poi la scelta, improvvisa, dolorosa e che non ammette ripensamenti, se partire e abbandonare un territorio prossimo ad essere invaso, oppure aspettare l’arrivo degli eserciti occupanti; se vogliamo una scelta indotta anche dalle circostanze, dal peso delle false e parziali notizie, dalla possibilità di essere più vicini ai ponti e quindi alla salvezza oltre il Piave. Dopo l’assestamento della nuova linea del fronte, le vicende di questi civili si divaricano: quasi 900.000 rimangono sotto l’occupazione austro-germanica, mentre quasi 250.000, riusciti a fuggire, trascorrono ?in Italia? l’ultimo anno di guerra come profughi. Per i primi inizia un periodo di difficile convivenza con l’occupante militare, dove la violenza assume una dimensione quotidiana, appena mitigata dalla presenza mediatrice dei parroci che, a differenza delle classi dirigenti locali, sono rimasti accanto alla popolazione. Emergono così aspetti come la fame, le deportazioni nei campi d’internamento, il lavoro a cui sono costrette le donne e addirittura i bambini, gli stupri. Per i civili fuggiti oltre il Piave si apre la dura esperienza del profugato, diversa a seconda della località di arrivo e di lavoro, ma caratterizzata da un clima di generale sospetto e pregiudizio da parte delle comunità ospiti. Per i profughi abbienti il peso dell’?esilio in patria? è comunque minore rispetto a tutti gli altri, obbligati spesso ad una forzata separazione dagli altri membri della famiglia e a lavori umilianti.